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Rossano (Cosenza) - “Il Bambino che cambia il mondo”. L’omelia di Natale del Vescovo di Rossano Cariati, mons. Santo Marcianò”


<<“Il Bambino che cambia il mondo”. Carissimi fratelli e sorelle, ho voluto intitolare così il mio Messaggio di Natale, nella consapevolezza che il Mistero che respiriamo ancora in questa Santa Notte ci mette inevitabilmente dinanzi al fatto che il Bambino che oggi incontriamo è Colui che cambia il mondo. Vi saluto tutti, dal profondo del cuore: è bello essere riuniti qui, ritrovarsi come Chiesa - famiglia attorno all’altare del Signore, a celebrare insieme – e come non potrebbe essere così? – la venuta di questa Bambino che, come ogni nascita umana, cambia il  mondo in cui arriva. Sento dunque la vostra gioia, carissimi figli e fratelli, ma sento anche nel cuore tutte le vostre sofferenze e fatiche. Sento, questa sera, la fatica della vostra speranza e la voglio portare con me, con tutto il cuore, al Dio Bambino. È una speranza nella quale raccolgo tutte le vostre attese, le lacrime che tanti di voi mi hanno consegnato, gli ostacoli concreti che sperimentate, il tentativo di non lasciarsi sopraffare dalla sofferenza, la difficoltà – a volte drammatica per alcune persone e per alcune famiglie – di sfiorare la disperazione, il dubbio che ci coglie stanotte dinanzi a questo disarmato Bambino: come vi ricordavo infatti nel mio Messaggio, «noi, anche se le luci del Natale ci commuovono, facciamo fatica a fidarci di Lui» perché «ci sembra che le armi della debolezza, della piccolezza e dell’amore non siano sufficienti a vincere la violenza e la prevaricazione, la crisi economica e la fame dei popoli, la mancanza di lavoro e il disprezzo della vita e della dignità umana. E allora gli chiediamo: “Sei Tu? Sei veramente Tu?”»[1]. Sei davvero Tu il Signore? Sei davvero Tu che aspettavano i secoli e la storia, che aspettavamo anche noi quest’anno, affidando a Te il nostro bisogno di cambiamento? E come, con Te piccolo bambino, noi possiamo cambiare il mondo? «Con quali armi sconfiggere l’ingiustizia e lo scoraggiamento, la fame dei poveri e l’opulenza dei ricchi, l’incertezza sul futuro delle nostre vite e la presunzione di dominare la vita umana?»[2]. Sì, il fatto che il mondo possa cambiare è un nostro desiderio: è, forse, la segreta speranza con la quale veniamo questa Notte alla grotta di Betlemme. Ma anche questa notte troviamo la medesima risposta, il medesimo segno: «Un bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia».  «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio». Già nelle parole di Isaia echeggia questa speranza, che è però difficile da decifrare, e lo era anche quando Gesù è venuto al mondo come un Bambino. Una speranza difficile da decifrare ma, soprattutto, difficile da mantenere, quando si capisce – così come lo capirono i contemporanei di Gesù e così come lo capiamo anche noi – che dopo l’incontro con Lui, che nonostante la sua venuta il mondo sembra non voler cambiare, che probabilmente non cambierà neppure dopo questo Natale. Siamo speranzosi, questa sera, ma per certi versi sentiamo anche la nostra speranza come spenta, come bisognosa di rinascere: di rinascere con Te e come Te, Signore, in questo Natale. Ti abbiamo invocato per tutto il tempo dell’Avvento, ripetendo un’espressione del Salmista che diventa un vero e proprio grido: «Risveglia, Signore la tua potenza e vieni» (Sal. 79,3). Risveglia… Svegliati, Signore! Come ha ricordato recentemente Benedetto XVI, queste «sono invocazioni formulate probabilmente nel periodo del tramonto dell’Impero Romano. Il disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo, che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando, frequenti cataclismi naturali aumentavano ancora questa esperienza di insicurezza. Non si vedeva alcuna forza che potesse porre freno a tale declino»[3]. Non ci sembra forse che in queste parole sia raffigurata anche un’immagine del nostro mondo? Non sembra anche a noi di vivere un declino fatto di insicurezze economiche, climatiche, lavorative, politiche, affettive, relazionali? Non ci sembrano inammissibili le terribili violenze che fanno stragi tra gli innocenti, anche tra i tanti cristiani uccisi nelle terre d’oriente? E non ci sembra, dinanzi a tutto questo, di sperimentare una paralizzante e sofferta impotenza? Difronte al declino del potere dell’Impero, di fronte all’impotenza degli uomini dinanzi ad eventi non controllabili e non  prevedibili – osserva però il Papa - «tanto più forte era l’invocazione della potenza propria di Dio: che Egli venisse e proteggesse gli uomini da tutte queste minacce»[4].   Carissimi fratelli e sorelle, questa deve diventare l’invocazione di questa sera, di questa Notte, di questo Natale: dobbiamo ricominciare a rivolgerci a Dio, ad invocare la Sua potenza che sola può proteggerci. Sì, è una potenza protettiva quella di Dio, questo è bellissimo. Una potenza che non usa le armi del potere umano ma, ancora una volta, ci mette dinanzi al paradosso di un Bambino nato per noi, un Bambino che è realmente il Salvatore del mondo. Con quale potenza Egli potrà vincere? Con quale potenza Egli potrà aiutarci a sperare? Uno dei più grandi teologi di tutti i tempi, S. Alfonso Maria dé Liguori, ha risposto in modo semplice e profondissimo a questa domanda: lo ha fatto con un trattato teologico che tutti noi conosciamo e che continua da secoli ad accompagnare con le sue parole e le sue note il nostro Natale. È il famoso Inno «Tu scendi dalle stelle», il canto stupito e grato di un’anima che ha capito quale potenza d’amore ha usato Dio per salvare il mondo e per cambiare il mondo. «Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo… Oh Bambino, mio Divino, io ti vedo qui a tremar. O Dio beato: ah quanto ti costò l’avermi amato». La potenza con cui Dio salva ha il prezzo dell’amore che non ha prezzo, ha la misura dell’amore che non ha misura. È questa la via del Natale: è questa la via che il Bambino ci indica per affrontare le difficoltà e cambiare il mondo. Non sono parole: «Tu lasci del tuo Padre il Divin seno – continua S. Alfonso - per venire a penar su poco fieno». È un Dio che scende: e in questo percorso, che la tradizione dipinge a partire dalle stelle, noi vediamo tutta la potenza della kènosi, dell’abbassamento Colui che è sceso fino al fondo della nostra natura umana per assumerla, redimerla, cambiarla. Risveglia, Signore, la tua potenza. Questa invocazione diventa un invito a lasciarsi raggiungere, a lasciarsi cambiare dall’amore che discende in questo Natale. Come? Anche Gesù ci dona una risposta. Come osserva ancora il Papa, le parole del Salmista richiamano l’esperienza dei discepoli che rimproverano Gesù di dormire durante la tempesta sul lago (cfr Mt 8,26 e ss). Ma non è Dio che si deve risvegliare, siamo noi! Gesù lo dice ai discepoli: «in voi stessi la fede ha dormito. La stessa cosa vuole dire anche a noi. Anche in noi tanto spesso la fede dorme. PreghiamoLo dunque di risvegliarci dal sonno di una fede divenuta stanca e di ridare alla fede il potere di spostare i monti – cioè di dare l’ordine giusto alle cose del mondo»[5]. È un invito alla fede: fede che cresce con l’invocazione, fede che si configura come giustizia, fede che cambia il mondo perché gli restituisce un ordine, quello dell’amore umile e generoso, senza il quale nessuna struttura politica, ammnistrativa, lavorativa, giuridica… può funzionare. È a questo ordine, è a questo cambiamento che il Natale vuole convertirci: per questo, il Bambino racchiude il messaggio capace di aiutarci e che suona particolarmente forte in questo Anno del Laicato, nel quale io stesso ho voluto rivolgermi in modo speciale a tutti i bambini nella Lettera Pastorale: «Sì, il bambino, forse più di ogni altro, diventa il segno della povertà morale alla quale giunge il mondo. È l’indigenza di tanti bimbi che letteralmente muoiono di fame, di guerra, anche assoldati come combattenti; è la mostruosa sofferenza dei bimbi usati per pedofilia o pornografia, resi vittime di maltrattamenti e violenze anche in famiglia, costretti ad analfabetismo o ad una vita di strada, abbandonati dagli stessi genitori; è la povertà estrema – per la quale non mi stancherò mai di gridare – dei bimbi ai quali viene impedito di nascere dal grembo materno. Ma è anche la povertà di bambini che vengono riempiti di cose materiali, ai quali è risparmiato ogni “no” educativo e sono resi egoisti, incapaci di accorgersi del dolore umano e dei bisogni di coloro che li circondano. Il messaggio dei bambini è molto forte per noi adulti: essi, cioè, non sono degli oggetti ma delle persone e ci ricordano che l’essere umano dà il meglio di sé quando tratta l’altro come persona, quali che siano le sue caratteristiche. […]. Il bambino ci costringe ad un amore gratuito, senza condizioni; e dunque aiuta anche la società e la Chiesa a crescere in umanità. La vocazione dei bambini è ricordare al mondo che l’essere umano ha bisogno di rispetto e di cura, ha bisogno di essere accettato ed educato, ha diritto di essere considerato nella sua centralità; sul rispetto di tale centralità dell’uomo si misura la giustizia, l’umanità di ogni società e di ogni comunità, anche quella ecclesiale»[6]. Che nel Bambino di Betlemme, questa sera, sentiamo anche noi risuonare questo messaggio: è questa la potenza di Dio; è questa la speranza che cambia il mondo. Così sia! E buon Natale!  + Santo Marcianò>> [1] Messaggio per il Natale 2010 [2] Ibidem [3] Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi. Roma, 20 dicembre 2010 [4] Ibidem [5] Ibidem [6] I Laici, Regno di Dio nel mondo. Lettera pastorale per l’anno del Laicato, 13 agosto 2010.

di Redazione | 28/12/2010

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