Strabone (VI. 1.13) ci racconta, a proposito dei Greci, di Sybaris e di Thurii, che: “Essi mossero la città in un altro luogo nelle vicinanze e la chiamarono Thurii, come la sorgente” Diodoro Siculo (Diod. XII 10, 3-7) a tal proposito narra che: “Nel periodo che stiamo esaminando cioè sotto l’arcontato di Callimaco ad Atene, la città fu ricostruita e poco dopo fu trasferita in una zona diversa e le toccò un altro nome” A voler solo leggere le fonti, la Storia suggerisce altro di diverso da ciò che ci è stato narrato. Davvero si può credere che una città grandiosa, che si racconta sia stata abitata da oltre 300mila abitanti, con una cinta muraria di cinquanta stadi (circa 9 km.) possa essere racchiusa al di sotto di Copiae e dunque dell’attuale Parco? Ed ancora…Dove sono le mura? Dove sono gli edifici pubblici? Dove seppellivano i morti?
A nessuna di queste domande, sino ad ora, è stata data una risposta compiuta.
A tal proposito Vito Teti, nella sua splendida introduzione alla Ricerca di Sybaris e Thurii ci espone che “In questo orizzonte storico, mitico, leggendario, paesaggistico, visibile e invisibile di Sybaris e Thurii, in un’area di fiumi, pietre, rovine minute, case abbandonate si inserisce lo studio di Nilo Domanico, alla ricerca della “Magnogreca Atlantide Perduta”. Lo fa con l’ossessione e la passione del cercatore di arche perdute, del custode e dello scopritore delle rovine, ma lo fa, da ingegnere e scienziato moderno, con una profonda conoscenza della letteratura classica e dei miti e delle leggende su Sibari, con un approccio multidisciplinare, metodico e dettagliato, che ha messo in interconnessione differenti discipline, in apparenza non attinenti tra di loro, ma che invece sono fondamentali per giungere alla soluzione delle millenarie fondate supposizioni, di un enigma e di una nostalgia insopprimibili.
E lo ha fatto ponendosi numerose domande alle quali ha cercato di fornire una risposta plausibile e concreta, verosimile, basata su studi e ricerche, certo visionarie, ma basate su solide realtà metodologiche e scientifiche, per cercare di ricostruire il paesaggio antico, a partire da quello attuale. Ed è forse il primo passo, il punto di partenza, verso il ritrovamento di Sybaris e Thurii (poiché soltanto Copiae è già venuta alla luce). Sono tanti gli indizi che ci mostrano che Nilo è sulla buona strada, con una metodologia supportata dalle nuove possibilità tecniche.”
"In cosa si imbatterono i primi coloni Greci Quando arrivarono sulle coste joniche? Come era configurato il Paesaggio Antico? Ormai è storia nota che Sybaris fu fondata tra il Crati ed il Coscile. Ma quale era l’alveo dei due fiumi a quei tempi? Sfociavano al mare ognuno seguendo il proprio corso oppure erano uniti come ai giorni nostri? La linea di costa era quella attuale? Si narra che sulla costa vi fosse un’area paludosa e lagunare. Ma tali lagune e paludi dove erano allocate rispetto al Paesaggio Attuale?
La più grande e gloriosa polis della Magna Grecia si inabissò poi nelle viscere della Terra, così come avvenne per Atlantide, per punizione divina o forse per le ciclopiche forze scatenate da un fenomeno geologico che la fece sprofondare?".
Ed ecco – continua Vito Teti - dove mi piace, collocare Nilo Domanico: “in una tradizione culturale alta e popolare che non vuole dimenticare, che vuole portare alla luce memorie e reliquie del passato, che sogna, non dorme, studia, cammina, inventa per fare emergere quei resti di un mondo sommerso che continua a interrogarci e a chiederci conto e a dirci che se il mondo sta avviandosi alla fine è perché vengono sempre meno questi costruttori di sogni, animatori di fantasie e di città nascoste da fare “rivivere”. Nilo Domanico appartiene a quella tradizione culturale e a quei ricercatori che sentono i luoghi, che hanno il senso dei luoghi e che dai luoghi vengono chiamati per un legame antico, per un rapporto che si è stabilito nell’infanzia e consolidato dal tempo, anche se magari da quei luoghi si è andati via.”
Ed alle splendide parole di Vito Teti si aggiungono, nello specifico di questo studio, le parole del prof. Emanuele Greco, uno tra i massimi studiosi al mondo di Sybaris e della Magna Grecia: “La complessa vicenda del paesaggio naturale sibarita, soprattutto delle sue trasformazioni nel tempo, è argomento di vitale importanza con cui da oltre un secolo si sono misurati molti ricercatori, sia geologi che archeologi autori di un susseguirsi di ipotesi, moto spesso niente altro che opinioni, tranne quelle rese possibili nel corso della stagione dei carotaggi eseguiti dal prof. Cotecchia agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, grazie ai quali furono recuperate informazioni rilevanti, anche se non determinanti per lo scopo della ricerca, che era quello di permettere lo scavo archeologico isolando la falda freatica. Arriva ora lo studio di Nilo Domanico che ha un pregio sostanziale, perché si tratta, per la prima volta di uno studio accurato e scientificamente impeccabile, grazie alle quali lo studioso arriva con un alto grado di approssimazione a delineare una credibile storia del paesaggio idrogeologico della piana tra Coscile e Crati. Con questa evidenza devono fare i conti gli archeologi, non perché si debba procedere ad una meccanica combinazione tra fonti letterarie, archeologiche e geologiche, perché ogni livello di informazione deve essere utilizzato secondo le leggi che regolano quel dato settore, ma principalmente perché ora disponiamo di un’eccellente piattaforma nella quale calare l’evidenza archeologica, non solo, ma grazie alla quale la ricerca archeologica, può anche essere indirizzata grazie al lavoro svolto dall’ingegnere.”
di Redazione | 27/12/2024
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