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Rossano (Cosenza) - Quella prima volta...quanta emozione!


di LETIZIA GUAGLIARDI - Credo che le mani mi tremassero. Avevo il cuore in gola. Avevo paura di sbagliarmi. Avevo messo il mio vestito migliore, quello per andare a Messa e per le grandi occasioni. Queste frasi le hanno pronunciate alcune donne che il 2 giugno 1946 si recarono emozionate e cariche di responsabilità al seggio elettorale. Ufficialmente era la loro prima occasione di voto anche se, in realtà, alcune avevano già votato il 10 marzo dello stesso anno per le amministrative.

“Lunghissima attesa davanti ai seggi elettorali. Sembra di essere tornate alle code per l’acqua, per i generi razionati” ricorda una delle giovani donne. “Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione”.

Il clima era di festa, tutte erano accompagnate dai padri o dai mariti e dai figli. Alcune non avevano il documento d’identità e i mariti garantivano per loro. Tutte senza rossetto, come aveva raccomandato un articolo del Corriere della Sera:

“Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”.

Le donne, dunque, erano consapevoli che il loro voto era importante, poteva cambiare le cose. Da quel giorno avrebbero potuto far sentire la loro voce riguardo ai problemi degli Italiani e alla vita della nazione. Erano impazienti, in attesa del proprio turno: finalmente non sarebbero state più solo delle esecutrici di ordini ma avrebbero collaborato anch’esse alla direzione dello Stato in tutti i rami della sua attività. Immagino le loro mani tremanti mentre stringevano la matita, ma la loro voglia di libertà e di emancipazione era più forte di quel tremore.

Tutte erano preoccupate di sbagliare fra il segno della repubblica e quello della monarchia e nei giorni precedenti avevano fatto tante prove. Quella domenica erano agitate per quel “salto nel buio” ma erano doppiamente entusiaste e gioiose, come donne e madri e come cittadine. La mentalità, finalmente, stava cambiando.

In ogni epoca le donne hanno dovuto lottare per vedersi riconosciuti gli stessi diritti degli uomini. E poi ancora lotte per difenderli, quei diritti acquisiti.

Oggi molte cose noi le diamo per scontate e invece dovremmo soffermarci a riflettere che tutto ciò che oggi ci sembra semplice – anche il solo gesto di andare a votare – alle donne che ci hanno preceduto è costato fatica e sacrifici. Il diritto di voto, dobbiamo ricordarlo, non è stato concesso ma conquistato. Prima di quel 2 giugno loro non erano considerate cittadine dello Stato perché prive di due qualità essenziali: l’indipendenza e il possesso della propria persona. Fino a quel giorno una donna laureata non poteva votare, un qualsiasi uomo, anche analfabeta, sì. Quel diritto di voto, finalmente riconosciuto, dava alle donne una precisa identità, valorizzava il ruolo della maternità e le introduceva nella vita pubblica.

Quel giorno molti uomini erano scettici e storcevano il naso per la loro partecipazione al voto ma loro, pur trepidanti e orgogliose, si presentarono in massa e determinarono così la vittoria della Repubblica e della democrazia.

La ragazza felice nella foto che ho postato è Anna Iberti e quel giugno ’46 aveva 24 anni. È molto bella e il suo sorriso esprime tutta la speranza per un Paese appena uscito dagli orrori della guerra. L’Italia è cosparsa di macerie e la minaccia della carestia incombe ma quel volto raggiante esprime tutta la grinta e la voglia di ricostruire e di ricominciare.

E così è stato. Ricostruzione materiale: città, case, impianti industriali e infrastrutture stradali e ferroviarie distrutte dai combattimenti e dai bombardamenti aerei e ricostruzione istituzionale, dopo venti anni di fascismo.

Noi, oggi, siamo frutto di quella visione incominciata quel 2 giugno ’46. Per questo, dobbiamo preservare quello che si è conquistato e continuare a migliorare il nostro bellissimo Paese.

Con la stessa visione, la stessa grinta e gli stessi valori e ideali che brillavano negli occhi di quelle donne del ’46.


di Letizia Guagliardi | 07/06/2023

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