Il fascino della musica è la capacità di raccontare storie che evocano inevitabilmente immagini e sensazioni personali. Le “Morricone Stories”, ascoltate al Teatro Comunale di Catanzaro nel concerto di Stefano Di Battista, sono un patrimonio inestimabile che appartiene a intere generazioni. Un tesoro in cui ogni nota diventa una gemma preziosa. Due mondi distanti, quelli di Ennio Morricone e Stefano di Battista, universi che si congiungono nei rivoli delle sonorità jazz cercate dal sassofonista; melodie che, scritte per il cinema, grazie alla perfetta e ossequiosa lettura del sassofonista, hanno trovato una chiave di lettura che affonda nei segreti degli spartiti del Maestro. Una ricerca voluta e appassionata che non lascia dubbi sulla qualità del risultato.
Omaggiare Morricone richiede una personalità forte e una passione per un songbook che necessita di una attenzione particolare, mai travalicante le linee di un confine sonoro ben delineato. Di Battista ha saputo cogliere la profondità di armonie dai forti tratti emozionali. Mai superfluo nelle sue letture, è riuscito a trasformare le orchestrazioni complesse dagli arrangiamenti ricchi, portandole su un piano a lui più congeniale, dando un tocco di originalità.
Sin dall’iniziale “Cosa avete fatto a Solange?”, tratta dal film omonimo, si è percepito che il viaggio nelle storie di Morricone sarebbe stato coinvolgente. La successiva “Peur sur la ville”, inizialmente basata su un giro di contrabbasso ipnotico, per poi sfociare in una melodia più lineare, si è distinta per il caratteristico fischio caro al compianto Alessandro Alessandroni, l’uomo che ha caratterizzato alcuni brani degli spaghetti western di Sergio Leone.
I temi di “Veruschka” e “La cosa buffa” hanno evidenziato un crescendo naturale che ha portato al Morricone più amato e conosciuto. Una sequenza mozzafiato di brani che si sono alternati con gli interventi parlati dello stesso Di Battista. Ha scherzato con i componenti la band formata da Andrea Rea al piano, Daniele Sorrentino al contrabbasso e Luigi Del Prete alla batteria, e ha dialogato con il pubblico con grande ironia.
Le rigorose performance, le improvvisazioni pregevoli e gli assolo, hanno messo in luce le doti tecniche di ciascun musicista, il cui comune denominatore è stato il divertimento. Straordinario il loro affiatamento, evidente in brani come “Metti una sera a cena”, un up-tempo in cui Di Battista appare ispirato da sonorità care a Charlie Parker, con contrabbasso, piano e batteria che supportano l’estro del sassofonista.
Hanno giocato scambiandosi i ruoli e ripetendo vicendevolmente le rispettive frasi musicali. Un divertissement gradito e corrisposto dal pubblico con lunghi e partecipi applausi. L’entusiasmo viene “spezzato” da “Deborah’s Theme”, che viene “consegnata” in una versione intima quanto struggente, quasi una ballad alla quale Rea e Sorrentino hanno conferito una profonda intensità.
Di Battista non si è limitato a suonare, si è fermato per raccontare il suo incontro con il Maestro. E’ apparso emozionato e, al tempo stesso, felice di un incontro con un genio della musica, che tanto gli ha trasmesso. Ha eseguito “Flora”, composto per lui dallo stesso Morricone. «L’ho intitolato con il nome della persona più cara della mia vita, mia figlia». Breve e malinconico il brano viene eseguito nella versione originale su note altissime, quasi irraggiungibili.
Il tema de “Il buono, il brutto e il cattivo” ha concluso idealmente il concerto. I quattro musicisti acclamati dal pubblico concedono il bis richiesto a viva voce. Stefano Di Battista scendendo tra il pubblico si è concesso a loro, parlando con gli spettatori, accennando a musiche del Maestro, fin quando, ritornando sul palcoscenico, non ha eseguito “Sean, Sean”, brano portante di “Giù la testa”. Sale l’entusiasmo e la partecipazione della platea che, con una lunga standing ovation saluta gli interpreti di una serata da incorniciare.
di Redazione | 18/04/2023
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