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Cosenza (Cosenza) - Il dialetto, linguaggio antico e denso di storia e tradizioni


di KATIA FILICE e DESIRÉ CHIRICO – In una classe piuttosto gremita di “giovani anziani” è sempre stimolante partire anche dal dissenso per animare una discussione che irrimediabilmente diventa lezione biunivoca tra mondi generazionali diversi. Spesso argomento centrale diventa l’uso del dialetto tra i sostenitori tout court e coloro che vorrebbero rilegarlo in una condizione a latere e marginale.  Eppure, il nostro paese ne conta tantissimi, tutti, più o meno conosciuti, ma comunque estremamente affascinanti. È la lingua dei nostri nonni, che si è tramandata oralmente subendo a volte anche delle modifiche sostanziali per via dell’affermarsi della lingua italiana che dopo l’unità d’Italia diventa lingua nazionale. Esigenza comprensibile dettata dall’abbandono delle campagne, dalla progressiva emigrazione verso il nord, e ancora la scuola e la paura del dialetto, la leva obbligatoria, la burocrazia, la tv, tutte realtà che obbligavano gli italiani, per potersi comprendere, ad utilizzare una lingua comune. Oggi, data la capillare diffusione della lingua italiana in tutti gli strati della popolazione, l’uso del dialetto non può essere certo considerato uno svantaggio culturale semmai una scelta consapevole ed evidentemente circoscritta ad ambiti idonei. D’altronde il dialetto è da considerarsi lingua a tutti gli effetti la cui vera differenza sta nel concetto di emotività. Potremmo definire a ragione che la lingua italiana è la lingua della letteratura, della scienza, della razionalità, la lingua dialettale è invece la lingua dell’emotività: quando ci arrabbiamo o proviamo magari un sentimento genuino di gioia ecco che utilizziamo quei termini intraducibili in italiano che giungono dritti al cuore. Parlare in dialetto per scelta, in famiglia o con gli amici, organizzare commedie dialettali, bandire concorsi di poesia in dialetto, significa voler tenere viva la nostra identità, non a scapito delle altre identità, ma solo tutelando differenze che rendono ricche il nostro paese. Tanto è ormai affidato ai libri, tanto lo sentiamo parlato tra i nonni più anziani che evidentemente con quel loro “linguaggio antico” come i ragazzi amano definirlo, ci riportano indietro nel tempo, in quei vicoli gremiti di dignitosa povertà o magari davanti ad un camino mentre l’odore del buon ragù della domenica pervade tutta la casa.


di Rubrica autogestita Katia Filice e Desirè Chirico | 27/10/2022

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