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Rossano (Cosenza) - Conclusioni dell’Arcivescovo al Convegno pastorale diocesano


Concluso il Convegno pastorale diocesano, tenutosi nei giorni 22-23 a Corigliano (presso il teatro Metropol) e il 24 nella Cattedrale di Rossano, sul tema “I laici, Regno di Dio nel Mondo”. Di seguito si  riportano le conclusioni dell’Arcivescovo di Rossano – Cariati, monsignor Santo Marcianò: <<Carissimi fratelli e sorelle, il Vangelo di questo venerdì della venticinquesima settimana del tempo ordinario, che abbiamo ascoltato come Lettura del Vespro, mette sulle labbra di Gesù questa domanda che, inevitabilmente, sentiamo rivolta a ciascuno di noi. È una domanda con la quale mi piace “chiudere” il nostro Convegno Diocesano di quest’anno e con la quale mi piace “aprire” la riflessione concreta che questi giorni inaugurano nelle persone e nelle comunità: riflessione che, peraltro, la Lettera Pastorale dovrebbe aver già avviato. A tutti do il benvenuto alla fine del Convegno, particolarmente a voi, amatissimi figli laici, pellegrini in questa Cattedrale nell’occasione dell’XI centenario della nascita di San Nilo. Sono stati due giorni intensi, per i quali sento il bisogno di ringraziare il Signore, di ringraziare i relatori che ci hanno offerto riflessioni sapienti e utili, di ringraziare di cuore ciascuno di voi, incoraggiandovi all’inizio di questo Anno Pastorale. È l’anno del Laicato; e noi – ve lo dicevo in apertura del Convegno - dobbiamo davvero iniziarlo con coraggio; è un anno che vuole chiedere e donare ai laici di sentirsi protagonisti nella Chiesa, attivamente impegnati, coinvolti, interpellati: prima di tutto, interpellati dal Cristo. «Voi, chi dite che io sia?». È la risposta a questa domanda che determinerà lo svolgersi di quest’anno, la sua riuscita, la sua fecondità nella e per la nostra Chiesa. Ed è una domanda, questa, con la quale Gesù non sembra tanto chiedere un parere sulla sua identità quanto piuttosto suscitare un interrogativo circa la qualità della relazione che ciascuno imposta con Lui. La domanda, infatti, coinvolge un io e un tu:  «Chi sono io per te?», sembra volerci chiedere il Signore. Questa relazione definisce l’identità del laico: un’identità che, come scrivo nella Lettera Pastorale, si fonda sul Battesimo che ci incorpora, ci conforma a Cristo. Perché prima di tutto – ce lo ricordava anche Paola Bignardi al Convegno – essere laico significa essere «di Dio». È dunque una relazione di appartenenza quella che ci lega al Signore; è una relazione di appartenenza quella che ci lega alla Chiesa, a questa Chiesa; è una relazione di appartenenza quella che ci lega al Regno di Dio. E, si può dire, si tratta di un’appartenenza reciproca, dal momento che il Regno – motivo portante del nostro Anno laicale – non è solo la realtà nella quale noi siamo inseriti ma è anche qualcosa che ci viene dato in dono: «Al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32)… E il Regno - così come la Chiesa, così come il laico – è «di Dio». Dire con la vita che noi siamo «di Dio»: che è di Dio il mondo, il tempo, la vita familiare e politica, la sofferenza e la morte, la gioia e il piacere… Questo significa «consacrare a Dio il mondo intero»[1]. E basterebbe questo a descrivere l’identità ma anche la missione del laico. Una missione che ho definito con una sintetica espressione nella Lettera Pastorale, nella quale vi ho invitati a rendervi conto di essere «strumenti dell’irruzione di Dio nel mondo»[2]; proprio per questo, una missione che non voglio esitare a definire profetica. Sì, se una consegna sento di darvi nelle Conclusioni del nostro Convegno diocesano, è proprio questa: siate strumenti dell’irruzione di Dio nel mondo, siate profeti così! «La profezia – vi scrivo – è la semplice ma delicatissima assunzione in noi del linguaggio di Dio che si fa strumento di relazione con il mondo»[3]. In una parola – ve lo ricordavo in apertura del Convegno – il profeta è un “simbolo”: egli, cioè, come la parola greca (siun-ballo) insegna, è chiamato non solo ad essere segno ma ad unire, a mettere in relazione appunto. Per dirla con la Parola di Dio di oggi, profezia significa sentirsi provocati dalla duplice domanda di Gesù: «Voi chi dite che io sia?». «Le folle, chi dicono che io sia?». C’è una folla che deve rispondere alla domanda di Gesù, all’interrogativo fondamentale della vita e sulla vita. E spesso, nella Scrittura, le folle ci vengono descritte come una moltitudine di gente affamata, malata, stanca e oppressa, abbandonata, ingannata… È in questa «folla» che noi, che soprattutto voi laici, viviamo. Ed è in questa folla e per questa folla che la vostra profezia si consuma e deve risplendere. Sì, risplendere. In queste sere del nostro Convegno ho contemplato, pregando, la luna piena che inondava di una luce silenziosa ma decisa la nostra terra, le strade, le case, gli angoli bui… e pensavo che vorrei un laicato così. Non è solo un’immagine poetica, lo capite bene: è un richiamo teologico. È la tradizione che definisce la Chiesa Misterium Lunae; ed è dunque vocazione della Chiesa quella di assorbire la luce del Sole, che è Cristo, ed esserne il luminoso riflesso nel mondo. Vedete, quando il sole risplende, in pieno giorno cioè, la luce vince, è indiscutibile: il buio, di giorno, non esiste. Così è in Dio. La notte, invece, è il tempo delle tenebre: e le tenebre, nella Scrittura, identificano il mondo nel quale esiste il peccato, il male, la sofferenza, la solitudine, il non senso, la violenza, l’ingiustizia… Ma basta un raggio di luna a cambiare la prospettiva, basta un soffio di luce a rischiarare un angolo buio, basta una scintilla ad illuminare un cuore umano che inaspettatamente si apre a rispondere alla domanda di Gesù: «Tu, chi dici che io sia?». È forse questo che, per certi versi, rende la luce della luna più commovente di quella del sole: il fatto che essa sia chiamata a farsi strada nelle tenebre, ad essere il canale che fa irrompere lo splendore del sole nel buio più fitto. Questa è la profezia della Chiesa nel mondo, questa è la profezia del laico nella Chiesa! E, come la luce solare si compone di più elementi, che sono poi i colori visibili nell’arcobaleno, così mi piace scomporre la parola «profezia» in alcuni concetti che vorrei lasciarvi come spunti conclusivi del nostro Convegno: sono spunti che sgorgano dalla meditazione sul Vangelo di oggi e che, allo stesso tempo, ci aiutano ad inquadrare meglio la «vocazione e missione dei laici», nonché quei «nuovi campi di testimonianza ed evangelizzazione», che ho indicato nella Lettera Pastorale[4] e che attendono di essere sempre più calati nella realtà concreta della nostra Chiesa.   UMILTA’ – SERVIZIO – PARTECIPAZIONE «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato…». C’è, anzitutto, uno stile che noi cristiani dobbiamo recuperare e che finisce col permeare tutto il nostro vissuto: le relazioni interpersonali, il mondo del lavoro, l’impegno del volontariato; prima di tutto il nostro essere nella Chiesa e, così, nel mondo. È lo stile dell’umiltà. Una parola complessa, umiltà; un’espressione che rischia di diventare scontata, abusata o, a volte, non amata. Tuttavia, i laici, nella Chiesa, devono essere una presenza umile. Dire umiltà significa dire humus, cioè terra; è bello applicare questo significato alla vita laicale: è un ministero, il vostro, che vi porta a contatto diretto con la terra, con il mondo, con la quotidianità, con la realtà del nostro territorio. L’umiltà ci vuole incarnati, radicati nella terra: ed è stato interessante che ieri, al Convegno, ci siano stati tanti riferimenti, soprattutto nelle domande, alla realtà della nostra Calabria… Carissimi laici, amate la vostra, la nostra terra: sentitevi chiamati in essa e da essa. Sentitevi responsabili di essa: imparate lo stile della partecipazione. Nella Lettera Pastorale insisto, sulla scia dei Documenti Conciliari nonché della Christifideles Laici, sul significato della partecipazione dei fedeli laici alla vita della Chiesa[5]. Una partecipazione che vi deve inserire sempre più fortemente nella realtà della diocesi e delle parrocchie, attraverso i diversi organismi e attraverso i ministeri che ciascuno è chiamato ad esercitare. Ma la comunità ecclesiale, se ci pensate bene, è disegnata sul territorio, è attenta ad esso, non è da esso disincarnata: la partecipazione alla vita della Chiesa è, dunque, partecipazione alla vita del mondo. Noi dobbiamo sentire nostra la Chiesa e nostra la terra e dobbiamo lavorare con senso di collaborazione e corresponsabilità: nel mondo, una corresponsabilità che ci vede capaci di operare a servizio dei fratelli e con i fratelli; nella Chiesa, una corresponsabilità tra le diverse vocazioni, in particolare tra presbiteri e laici. È un punto molto delicato, sul quale mi sono soffermato nella Lettera Pastorale, sottolineando come, «se ai laici spetta una collaborazione con la gerarchia e un riconoscimento dell’insostituibile compito dei pastori, ai pastori spetta il riconoscimento del carisma laicale, prima ancora che dei singoli carismi personali»[6]. Sono profondamente convinto che nella nostra Chiesa l’Anno dei Laici potrà riuscire anche e solo grazie ai presbiteri. Per questo è necessaria l’umiltà. È l’umiltà di chi sa di non bastare a se stesso – quante volte lo abbiamo ripetuto in questi giorni di Convegno -, di chi si impegna per superare l’autoreferenzialità e l’individualismo. Ed è questa umiltà che si fa servizio: sì, perché dire umiltà significa dire servizio. Non lo dimenticate: ogni carisma nella Chiesa – e si è fatto cenno ai carismi, in questi giorni -; ogni mandato che la comunità ecclesiale ci affida; ogni ruolo e ministero nella Chiesa, che si tratti di volontariato o di una specifica vocazione lavorativa, è, sempre e comunque, un servizio. Ma attenti, questo vorrei gridarlo con forza: non c’è servizio, anche quello più qualificato o apparentemente prestigioso, che non richieda, per essere veramente tale, l’umiltà!   VERITA’ – PARRESIA – DIALOGO E l’umiltà ci mette in una giusta relazione anche con la verità: vedete, tutte le volte che la ragione umana pretende di non inchinarsi a questo mistero, non fa che “ridurre” se stessa e dunque non fa un servizio a se stessa; ma tutte le volte che noi pretendiamo di dire la verità senza umiltà, cioè con arroganza, non abbiamo fatto un servizio alla verità: è un concetto che è emerso al Convegno, sulla scia delle esortazioni che proprio ai laici rivolgeva il Cardinale Newman. Questo tempo di relativismo, non faccio che ripeterlo, ci ha fatto smarrire il senso e la convinzione circa la verità che è Cristo e circa la possibilità e la necessità di portare Cristo, sempre e comunque, «in tutti i luoghi e in tutte le situazioni»[7], come vi scrivo nella mia Lettera; soprattutto «in quei luoghi in cui solo i laici possono giungere perché ne sono parte»[8]. Per farlo, per portare questo annuncio, è necessaria quella che noi chiamiamo la “parresìa”. «Tu sei il Cristo di Dio», risponde Pietro a Gesù: è un’affermazione chiara, coraggiosa, che si pone a servizio della verità e stravolge tutte le regole e le convinzioni in quel tempo presenti: ecco la parresìa. Anche per noi è così: la verità spesso sconvolge le regole che la mentalità attuale detta e che noi assorbiamo, più o meno consapevolmente. Per tale motivo, la parresìa è necessaria affinché i laici siano strumenti della verità, prima di tutto all’interno della stessa comunità cristiana, nella quale spesso si vive “come se Dio non esistesse”. Si tratta di una «nuova evangelizzazione» che «è di grande importanza ed è la condizione attraverso la quale il Vangelo si potrà realmente diffondere»[9]. Ve lo scrivo chiaramente nella mia Lettera, citando anche Giovanni Paolo II: «Certamente urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali»[10]. Oggi consegniamo gli Attestati a conclusione del primo ciclo della Scuola per Operatori Pastorali: ed è una Scuola che ho voluto fortemente, proprio nella luce di questo impegno di evangelizzazione e rievangelizzazione che, nella nostra Chiesa, è affidato al carisma e alla responsabilità dei laici. E consegniamo pure gli Attestati di partecipazione a conclusione del primo ciclo della Scuola di Formazione Socio-Politica: ed anche questa Scuola – lo sottolineo con forza – è finalizzata ad un impegno di evangelizzazione. Stiamo parlando di verità e di parrresìa. Come non ripensare, in tale luce, tutto l’impegno politico-sociale del laico cristiano? È un tema urgente, da rimeditare e riproporre; e voglio soffermarmi particolarmente su questo punto. È un tema urgente per il nostro Anno del Laicato, prima di tutto; e lo è perché in questo anno – è una coincidenza che mi sembra molto significativa – proprio in Calabria, precisamente a Reggio, avrà luogo la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Si tratta di una scadenza importante in quanto, come vi dicevo al Convegno, aiuta la nostra Chiesa locale a non sentirsi “a margine” rispetto a quanto vive e respira tutta la Chiesa Italiana, ad inserirsi sempre di più nel cammino della Chiesa e a sperimentarsi in esso; perché la Chiesa resta il cuore di tutto: e la Chiesa è una. Ma è una scadenza importante per noi anche perché – come ci ricordava al Convegno il professor Patriarca, segretario delle Settimane Sociali – il futuro dell’Italia è nel Sud: e il nostro Sud deve sentirsi interpellato a divenire un laboratorio di nuove idee; ad arginare, tra le varie problematiche, il preoccupante fenomeno dell’emigrazione dei suoi giovani; a reagire a questo che è un tempo difficile, soprattutto sul piano economico, cogliendo in esso la molla per pensare a un bene comune più robusto ed autentico. Ecco: il servizio al «bene comune» è il nucleo di quella verità che noi cristiani dobbiamo, che voi laici dovete, annunciare attraverso l’impegno socio-politico. Il bene comune è – come dice Benedetto XVI nella Caritas in Veritate – «il bene di quel “noi tutti”» che non è «ricercato per se stesso ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene»[11]; quel bene – si esprime così il Compendio di Dottrina Sociale della Chiesa – che è «comune perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo e custodirlo, anche in vista del futuro»[12]. Cari amici, basterebbe questa idea di «bene comune» a sintetizzare quello che è il grido che la Chiesa lancia contro tutte le logiche di egoismo e potere, contro i clientelismi e le raccomandazioni, contro ogni genere di illegalità e di criminalità organizzata… Sì, la Chiesa non cessa di scagliarsi contro tutto questo, anche questa Chiesa diocesana, nonostante le critiche e le accuse di chi – uomo politico o uomo di comunicazione -, non conoscendo la vita della comunità ecclesiale, finisce per intromettersi in essa secondo modalità inopportune e disinformate. Più volte, da pastore, sono intervenuto su questi argomenti, come altri vescovi di questa nostra terra che è martoriata, in particolare, dalla piaga mafiosa e spesso afflitta – lo spiegava anche il professor Patriarca – dalla rassegnata logica dell’assistenzialismo che paralizza le nostre energie forse quanto la criminalità organizzata. Penso solo alla Nota contro la mafia che, come Conferenza Episcopale Calabra, abbiamo pubblicato nell’ottobre 2007 con lo scopo, anzitutto, di «tenere sempre desta l’attenzione per tentare di liberare da questo male le nostre popolazioni»[13]; commentandola, io stesso consideravo «come un fenomeno come quello mafioso si regga non solo sul male gravissimo in se stesso ma anche sulla paura, pigrizia e omertà, nonché sulla passività dello scoraggiamento»[14]. E penso alle parole della mia ultima Lettera Pastorale, riprese poi nell’Omelia per la Festa della Madonna Achiropita, che voglio in questa occasione richiamare. Voi laici siete chiamati a «consacrare a Dio la vita sociale e politica: appare sempre più chiaro come tutta l’emergenza che avvolge tale settore è prima di tutto morale. Lo ha affermato proprio qualche giorno fa anche il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana citando la Caritas in Veritate che identifica nel “sottosviluppo morale” la radice di tanti mali. E voglio gridarlo forte anch’io: l’impegno politico dei laici è urgente, necessario ed è una forma di carità; ma è da riservarsi esclusivamente a cittadini onesti, che rispettano le leggi, che non evadono il fisco, che rifiutano la logica del clientelismo o della raccomandazione, che non cercano il proprio tornaconto né il potere. Dio “rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili” (cfr. Lc 1,51), canta Maria nel Magnificat; è l’umiltà di chi intende anche la politica come servizio alla dignità dell’uomo e al bene comune, come difesa di quei valori per i quali, come ha ancora ricordato il cardinal Bagnasco, “vale la pena non solo di vivere ma anche di morire”. Sono certo che molti, soprattutto giovani, vivono il sogno di una politica così e chiedo al Signore che dia loro la forza per ascoltare questa vocazione e rispondervi. Allo stesso modo, sono certo che molti dei nostri amministratori desiderano questa politica; ed è per questo che, dalle pagine della Lettera Pastorale, ho lanciato un invito, ai sindaci e pubblici amministratori, ad incontrarci per riflettere insieme sul bene comune, ciascuno nel rispetto dei propri ambiti, e cercare delle soluzioni idonee alle emergenze e priorità della nostra realtà locale»[15]. Cari amici, la riflessione sulla vita sociale e politica riguarda tutti, i laici soprattutto. Ogni persona, a cominciare da ogni famiglia, vive una dimensione sociale e porta le conseguenze delle sue azioni sulla polis, sulla città dell’uomo. Per questo, anche se il vescovo parla, la sua voce non basta. Non basta a far emergere il grido della Chiesa, il suo reale insegnamento circa la vita sociale e politica: un insegnamento che non mira a scagliarsi contro il singolo, prendendo magari il posto della magistratura o cedendo a strumentalizzazioni di partito, ma che intende denunciare l’ingiustizia per annunciare la giustizia e difendere tutti i diritti umani, a partire dal fondamentale diritto alla vita. Sì: non basta la mia voce di pastore se non è accompagnata dall’esempio luminoso e dalla testimonianza di vita onesta da parte di voi laici, che vivete il servizio alla città nel quotidiano della vita civile e, perché no, cercando di rispondere ad una vocazione all’impegno politico. E non basta la mia voce se anche le vostre voci di laici non si levano a prendere posizione contro le ingiustizie e i peccati sociali – come si diceva al Convegno -, contro la lesione della dignità umana, contro l’incoerenza personale, contro un’economia attenta alle cose e non agli uomini... Cari laici, vi è richiesta questa parresìa: è una consegna esplicita, che vi faccio come conclusione del Convegno e che mi aspetto come frutto di questo Anno del Laicato. E vi dico: siate coraggiosi, non temete: ma preparatevi. Dal Convegno è venuto un chiaro invito a studiare la Dottrina Sociale della Chiesa; perché, ad esempio, non raccogliere la proposta che faccio nella Lettera Pastorale: che, cioè, si organizzino Corsi di Dottrina Sociale nelle singole Vicarie? Vedete, questo Anno dei laici deve essere anche un anno di studio, se deve formarvi alla verità: lo dico anche in riferimento a tutte le occasioni che vi vedono impegnati nel vasto campo della comunicazione: penso al mondo dei mass media, dell’arte, dello sport; ambiti tutti che sono trattati nella mia Lettera Pastorale. Direi che questo deve essere un anno in cui recuperiamo l’importanza della “cultura” nella vita cristiana. Da tempo, il Servizio diocesano per il Progetto Culturale profonde un significativo impegno per offrire alla diocesi e al territorio occasioni preziose per una formazione in tal senso. Anche quest’anno il “Corso per animatori della cultura e comunicazione” si caratterizzerà per la qualità dei relatori – molti provenienti dall’Università Cattolica di Milano – e per l’originalità del tema che, in un tempo di emergenza educativa, mira a focalizzare, in particolare, la ricaduta pedagogico-pastorale della comunicazione: è un’iniziativa di grande importanza per la Diocesi che tra l’altro, nel 2011, vedrà anche la consegna dei primi “mandati” agli animatori. Verità e parresìa: fondamento dell’evangelizzazione, fondamento della cultura; fondamento di quel “dialogo” che i laici cristiani devono saper mantenere con il mondo al quale appartengono e che mai può poggiarsi sul compromesso e sulla negazione della verità in nome di un’illusoria tolleranza. È invece l’accoglienza non arrogante dell’altro che – come si diceva prima – porta a considerare come proprio il servizio alla verità sia l’espressione fondamentale della carità.   CARITA’ - GIUSTIZIA - COMUNIONE E la carità è sempre il nucleo fondamentale di ogni scelta evangelica, dunque anche del vostro impegno di laici. Una carità che mi piace proporvi come germe della giustizia, anche della giustizia sociale. Non c’è carità senza giustizia, ma non c’è giustizia senza carità: è questo che ho inteso affermare nella Lettera Pastorale, stimolando voi laici a scelte forti in vari campi. Scelte forti nel mondo del lavoro, dove ho chiesto il rifiuto del lavoro ”in nero”, la rinuncia al doppio lavoro, il rispetto delle condizioni lavorative per tutti[16]. E dove mi piace cogliere quello stimolo a “creare” lavoro, anche attraverso la vocazione all’imprenditoria, che il professor Patriarca ha saputo rivolgerci ieri. Scelte forti nel campo della difesa della vita, nel quale ho ribadito come la nostra diocesi si stia sforzando di portare avanti un chiaro progetto pastorale e nel quale non si possono ammettere sconti né compromessi di nessun genere: un valore non negoziabile, quello della vita umana in ogni sua fase e situazione; senza rispettarlo, anche parole come “giustizia” e “carità” risultano vuote e addirittura false. Scelte forti nel campo della famiglia, per il quale c’è bisogno di una maggiore attenzione pastorale, per aiutare le nostre famiglie a vivere la verità e le esigenze dell’amore coniugale, ad affrontare l’emergenza educativa, ad assicurare l’attenzione e la cura dei bambini, dei giovani, degli anziani e di tutti i tipi di sofferenza. Scelte forti nel campo del volontariato e del servizio alle vecchie e nuove povertà: ed è in questa luce che, oltre a potenziare le strutture di accoglienza, le mense che già la Caritas diocesana porta avanti con grande fatica, ho voluto in Diocesi la Comunità Papa Giovanni XXIII. La sua presenza, inaugurata dalla marcia anti-tratta che si è svolta il 4 settembre scorso e testimoniata anche al nostro Convegno, contribuirà particolarmente al servizio e al recupero di minori violati e abbandonati, di donne abusate e vittime della prostituzione, di situazioni di sofferenza e povertà particolarmente difficili, in comunione con tutta la Chiesa diocesana. Ed è proprio la comunione il punto nodale in cui si consuma la carità del cristiano, del laico. La Chiesa, lo sappiamo, è comunione; la missione della Chiesa – ve lo ricordavo in apertura del Convegno – è la comunione: e noi, voi laici, siete chiamati a vivere e rivelare la comunione che la Chiesa è nel suo essere mistero. Il nostro deciso “no” all’individualismo ha un fondamento profondamente evangelico, ecclesiale, teologico, trinitario: ed ha una ripercussione inevitabile sul bene della città dell’uomo. Vivendo o meno la comunione, noi diventiamo rispettivamente costruttori o distruttori della città e, dunque, del Regno di Dio. Che missione e che responsabilità! È un compito che ci sovrasta, che sembra umanamente impossibile… Come affrontarlo? Quel giorno, abbiamo ascoltato dal Vangelo, «Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare»: la risposta alla domanda sulla comunione è la stessa risposta alla domanda che Gesù ci fa: «Chi sono io per te?». La risposta, cioè, è la qualità, l’intensità della relazione con Lui, è l’intimità dell’unione con Lui: quell’intimità che nella preghiera si accresce e, vorrei dirvi, si gusta. Cari laici, vi dono anche la preghiera come mandato: quella preghiera che è comunione con il Signore e che, per voi laici, si incarna nelle cose della terra; quella preghiera che è vita spirituale, per imparare la quale, nella Lettera Pastorale, vi stimolo a mettervi alla scuola di Maria, «vero modello di una vita semplice ma radicale, pienamente vissuta nel mondo ma intimamente unita a Cristo Signore»[17]. Chiuderemo il nostro Anno dei laici ai suoi piedi, con il Pellegrinaggio diocesano in Messico, dalla Vergine di Guadalupe, la Madonna che porta nel suo grembo il Figlio Gesù. Sì, come Maria, dobbiamo imparare ad accogliere e portare il Signore: ad amarLo, servirLo, seguirLo.   SEQUELA - SANTITA’ - ETERNITA’ «Il Figlio dell’uomo deve… venire ucciso e risorgere il terzo giorno» Seguirlo: è qui tutta la nostra santità che è “semplicemente” identificazione con Cristo. Seguire Cristo fino alla Croce, che accumuna tutti e che ci accomuna con tutti. Proprio nel tempo della croce il cristiano è chiamato al culmine della sua profezia, della sua testimonianza, del suo martirio. Oggi, per certi versi, la testimonianza della croce è più difficile, anche per la rabbia con la quale la croce stessa è rinnegata, con la quale il Crocifisso si tenta di “cancellare”: dai luoghi pubblici, dalla cultura, dal cuore della gente. Ma il dolore umano rimane; e, senza il Crocifisso, l’essere umano è più solo ad affrontarlo. È a questo dolore che siamo, che siete chiamati a dare vicinanza e testimonianza. Sì. La Croce è sempre stata segno di contraddizione ma anche di speranza; è stata sempre una difficile ma provvidenziale prova della fede. Oggi, per certi versi, lo è ancora di più. Sentiamoci chiamati a vivere il mistero che ci porta a seguire Gesù, ad imitare Gesù, ad identificarci con Gesù che ama chi soffre e soffre e muore per amore: così, anche se tutti i crocifissi del mondo dovessero essere cancellati e gettati, resterebbe in noi il riflesso di quella luce misteriosa e feconda che risplende dalla Croce e che illumina chi sta sulla croce. Quella luce che è germe di risurrezione; quella luce che sembra dire – come vi scrivo a conclusione della Lettera Pastorale – che la parola «fine […] in Dio non significa assolutamente conclusione ma compimento: ecco l’eternità»[18].   Carissimi fratelli e figli laici, San Nilo ci insegna che è questa eternità che dovete immettere nel mondo, è a questa eternità che dovete richiamare il mondo, trasformando le cose temporali in cose eterne e portando, così, il mondo a Dio. È di questa eternità che, nelle tenebre del mondo e per amore del mondo, dovete essere profezia: raggio di una “luna” che indica il Sole e che accompagna il mondo verso la Luce del giorno senza tramonto. Vi benedico. E così sia!  + Santo Marcianò>>.   [1] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 34.   [2] Santo Marcianò, «Al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). I laici, Regno di Dio nel mondo. Lettera Pastorale per l’Anno del Laicato. Rossano, 13 agosto 2010, p. 26 [3] Ibidem, p. 27 [4] Cfr Ibidem, cap. II [5] Cfr Ibidem, p. 29-33 [6] Ibidem, p. 32 [7] Ibidem, p. 33-36 [8] Ibidem, p. 33 [9] Ibidem, p. 35 [10] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christifideles Laici, n. 34 [11] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, n. 7 [12] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 164 [13] V. Mondello, Presentazione alla lettera della Conferenza Episcopale Calabra, “Se non vi convertirete perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,5), 17 ottobre 2007, p. 6. [14] Santo Marcianò, Mirto, 24 aprile 2008 [15] Santo Marcianò, Omelia per la Festa della Madonna Achiropita. Rossano, 13 agosto 2010. Cfr anche A. Bagnasco, Omelia nella Festa di San Lorenzo, Genova 10 agosto 2010. [16] Cfr Santo Marcianò, «Al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32). I laici, Regno di Dio nel mondo. Lettera Pastorale per l’Anno del Laicato. Rossano, 13 agosto 2010, p. 55-56 [17] Ibidem, p. 113 [18] Ibidem, p. 118

di Redazione | 26/09/2010

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