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Rossano (Cosenza) - Chi apre una scuola chiude una prigione


di LETIZIA GUAGLIARDI -  Chi chiude la scuola in una prigione…? Mi riferisco alla chiusura improvvisa e immotivata dei corsi scolastici all’interno degli Istituti penitenziari della provincia di Cosenza. Fra questi, la Casa di Reclusione di Rossano, dove la sottoscritta per alcuni anni ha insegnato, ha realizzato progetti teatrali e ha fatto assistenza allo studio nella preparazione  di un paio di detenuti frequentanti i corsi dell’Università di Cosenza. Dico questo perché ho visto i benefici dell’apprendimento, della lettura, dell’analisi e della riflessione e, cosa non meno importante, dell’interruzione (poche ore al giorno) di quell’ozio deleterio che si consuma fra quattro mura a favore di un’abitudine sana, di costruzione e di ricostruzione.

Com’è possibile prendere questa decisione dopo aver constatato gli effetti positivi e rieducativi dello studio su una persona reclusa?

Mi sembra assurdo, se penso ai detenuti iscritti che, fino ad un mese fa, hanno frequentato le lezioni dell’Istituto Tecnico Industriale “E. Majorana”, attivo da tanti anni nel carcere rossanese. Rivedo il loro entusiasmo nello svolgere i compiti, il loro stupore nell’apprendere sempre cose nuove e utili, la loro gioia per aver avuto l’opportunità di colmare quell’ignoranza che li aveva portati, tanti anni prima, su altre strade. Strade senza uscita.

Molti, nel corso degli anni, si sono diplomati; altri, assaporato il gusto della libertà che deriva dallo studio e dalla conoscenza, si sono iscritti all’università, hanno continuato a studiare con profitto, hanno sostenuto gli esami grazie ai docenti dell’Unical che si sono recati puntualmente nella Casa di Reclusione e ci sono già un bel po’ i laureati.

… il giorno dopo presentammo alla direttrice un’istanza firmata da noi due e da molti altri nostri compagni per chiedere l’apertura di una scuola superiore, rivendicando il nostro diritto allo studio. I giorni, però, passavano senza che ci dessero alcuna notizia in merito per cui, dopo un paio di settimane, decidemmo di scioperare pacificamente. Iniziammo così lo sciopero della fame, bevendo solo liquidi per alcuni giorni.

La nostra azione fu molto efficace perché nel pomeriggio del quinto giorno ci comunicarono che l’Istituto Industriale di Rossano aveva accettato di aprire la sezione di Meccanica presso la Casa di Reclusione. Eravamo stremati ma felici.

Furono anni meravigliosi, gli insegnanti erano bravi e mi stimolavano di continuo a fare sempre meglio.

Mi diplomai con il massimo dei voti: 100/100.

Era l’estate del 2010.

                               (Francesco Carannante, “Sulla linea… la mia vita dietro le sbarre“, p.122)

Questo ha scritto Francesco nel suo memoir. Dopo il diploma si è iscritto al corso di laurea di Sociologia presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Unical. Si è laureato nel 2015: 105/110.

Amate lo studio, la conoscenza, perché questi vi apriranno gli occhi e la mente e vi daranno la libertà.  (p.220)

Questo è ciò che consiglia Francesco ai giovani lettori della sua storia. Perché lui l’ha trovata la libertà, anche se è in prigione.

Lui è stato più fortunato. Cosa possiamo dire ora a chi ha iniziato a frequentare,  si trova a metà del corso di studi e si vede la strada sbarrata?

E come possiamo motivare la chiusura della scuola a chi si era appena iscritto al primo anno, spronato dal cambiamento intravisto nei compagni che lo hanno preceduto in questa strada che non porta verso il buio di un abisso ma verso la luce di una vetta, quella della conoscenza e della speranza?

Chi apre una scuola chiude una prigione.

L’ha detto Victor Hugo. Se fosse ancora vivo gli chiederei, a questo punto…

Chi chiude una scuola in prigione… cosa apre?

 


di Letizia Guagliardi | 10/07/2019

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