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Rossano (Cosenza) - Anno della Misericordia, aperta la Porta Santa della Cattedrale di Rossano


Come programmato, oggi pomeriggio sabato 12 dicembre, in occasione del Giudeo della Misericordia indetto da Papa Francesco, si è proceduto, anche nella Diocesi di Rossano - Cariati all’Apertura della Porta Santa  della Cattedrale di Rossano. Dopo il Raduno pomeridiano in Piazza Steri, si è proceduto in processione verso la Chiesa Cattedrale, dove si è svolto il rito dell’Apertura della Porta Santa presieduta dall’Arcivescovo di Rossano Cariati, mons. Giuseppe Satriano. Ha fatto seguito una Concelebrazione Eucaristica, con i sacerdoti provenienti da tutta la diocesi calabrese, presieduta dal Cardinale, Fernando Filoni, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione tra i popoli. In Diocesi è prevista l’apertura di due “Porte della Misericordia”: il 19 dicembre, alle ore 16.30 presso ala Con cattedrale di Cariati e il 21 dicembre, alle ore 16,30 presso la Chiesa “Santa Maria delle Grazie” di Spezzano Albanese. Di seguito il saluto dell’Arcivescovo di Rossano Cariati, mons. Giuseppe SATRIANO Al Cardinale Fernando FILONI. <<Eminenza Reverendissima, carissimi sacerdoti, fratelli e sorelle tutti, autorità civili e militari convenute, avverto gioia e commozione profonda per quanto stiamo vivendo. Grazie all’intuito di Papa Francesco, con questo anno giubilare siamo stati proiettati tra le braccia di un Dio che ci ama con viscere di misericordia e desidera salvarci dal vuoto di scelte di morte che spesso abitano la vita di ciascuno. Eminenza carissima, è per noi un grande onore averla qui, non solo per i sentimenti di affetto che mi legano a Lei, nutriti da stima e dall’ammirazione, ma soprattutto per quanto ha realizzato nel suo servizio di Nunzio in Iraq e per quanto continua a offrire con la sua vita nel coordinare e promuovere la cura e l’evangelizzazione dei popoli fratelli dell’Africa, dell’Asia e non solo. Il suo essere a capo della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli la conduce a vivere, in stretta vicinanza al Santo Padre quella sfida, missionaria e conciliare, che vede la Chiesa protesa a rompere gli ormeggi, per solcare con fiducia le strade del mondo ed attestare la bellezza di un Dio che non si dimentica dei suoi figli. In quest’amata Cattedrale, Lei trova oggi radunata tutta la Chiesa diocesana nelle sue varie declinazioni; abbiamo tra noi anche la presenza straordinaria delle monache di clausura, parte integrante e vitale del nostro essere Chiesa, tutti e ciascuno con il cuore desideroso di aprirsi alla riconciliazione con Dio e i fratelli. Averla qui con noi è un grande onore, poiché la Sua presenza ci aiuta a comprendere l’universalità dell’amore di Dio, che in Gesù Cristo suo Figlio, vuole abbracciare ogni uomo della terra, soprattutto quelli più schiacciati e mortificati. Desideriamo unirci al Suo cuore e con Lei sentire vicini i cristiani che stanno soffrendo le persecuzioni non solo in Medio Oriente ma, potremmo dire, in diverse parti del mondo, pregando anche per i loro carnefici. In questa sera di grazia affidiamo al Signore la Sua persona, perché il ministero che vive sia sempre ricco di fede e di entusiasmo apostolico, e Le chiediamo il dono della Sua intercessione orante per la conversione di tutti noi, per un pieno ritorno all’amore di Dio, nel desiderio di poter divenire autentico segno di speranza per chi accostiamo, luce e consolazione per chi ci è stato affidato. Grazie ancora Eminenza e a tutti una celebrazione feconda e ricca dell’incontro con la grazia di Dio>>.  Di seguito si riporta l’omelia del Cardinale Fernando FILONI <<Iniziamo oggi, con la solenne apertura della Porta Santa di questa Cattedrale di Rossano, l’Anno giubilare della Misericordia della Diocesi. Ringrazio vivamente l’Arcivescovo, S.E. Mons. Giuseppe Satriano, per avermi voluto tra voi in questa unica circostanza, e per permettermi di vivere ancora una volta questo evento così significativo e importante della vita della sua Chiesa. Uso l’espressione ‘ancora una volta’, perché ho già vissuto due momenti uguali, il 30 novembre scorso a Bangui, nella capitale della Repubblica Centroafricana, durante il recente viaggio apostolico del Papa in Africa, e l’8 dicembre scorso a Roma, ambedue le volte con Papa Francesco, al quale va in questo momento -credo- il pensiero e la gratitudine di tutti noi per aver fortemente voluto, per tutta la Chiesa e nel mondo, la celebrazione di un Anno giubilare straordinario della Misericordia. Sappiamo che questa idea egli l’ha concepita nella preghiera e nella riflessione di questi primi anni del suo pontificato. Che cosa avrebbe dovuto marcare profondamente la Chiesa nel suo attuale momento storico anzitutto nel suo interno, ma anche nel suo stare nel mondo? E ciò, in un mondo in cui a volte la Chiesa è perseguitata nei suoi figli: pensiamo al martirio di tanti cristiani in Medio Oriente e in alcune regioni dell’Africa, in Pakistan a causa della cosiddetta «Legge islamica sulla blasfemia», o in alcune aree dell’India, o anche in America Latina. Nel 2014 sono stati uccisi diciotto (18) sacerdoti e religiosi, sei (6) suore, un (1) seminarista e un (1) laico (cfr. 3 Speciale Fides 39.12.2014); tutti hanno pagato con la loro vita il servizio che rendevano al Vangelo e alla carità; pensiamo ancora al contesto sociale occidentale, in cui la Chiesa è, non di rado, una madre rifiutata dai suoi figli con indifferenza; pensiamo al secolarismo che diventa una nuova forma di religione, all’edonismo egoista, dove l’io predomina su tutto; pensiamo alle società in America Latina dove gli indios, i neri già lì deportati come schiavi, sono esclusi o vengono depredati dalle proprie terre; pensiamo ad alcuni aspetti della nostra società scientista, atea, amorale, dove chi crede è deriso; pensiamo a quel mondo ricco e opulento, che consuma a dismisura, mentre enormi masse sono prive del minimo per vivere e i poveri crescono sempre più; pensiamo ancora al dramma di milioni di persone che fuggono dalle guerre e dalla miseria, senza casa, senza diritti e senza domani; pensiamo, infine, alla realtà richiamata dal Papa nell’enciclica Laudato si’, sulla situazione in cui versa la terra e il creato, questa «nostra casa comune», come la chiama Francesco, «questa sorella», come la chiamava San Francesco d’Assisi, che «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni di Dio» (n.2), e tutto questo mentre è in atto un processo economico, in cui l’essere umano è usato contro la creazione, con la conseguenza che si producono milioni di poveri, di disadattati, di emarginati che non sanno perché vivono e cosa stanno a fare in questo mondo. In questo ambito, che è il nostro, il Papa si è chiesto: Cosa posso fare io? O meglio: Cosa può fare la Chiesa? Abbiamo un dovere? Abbiamo un ruolo? Abbiamo un compito? Il Papa ha detto aprendo la Porta Santa a Roma: inizia per la Chiesa il tempo straordinario della misericordia. «Nessuno di noi può dire: io sono santo, io sono perfetto, io sono salvato»; tutti, invece, abbiamo necessità di «aprire il cuore ad accogliere la salvezza che Dio ci offre incessantemente, quasi con testardaggine, perché ci vuole liberi dalla schiavitù del peccato». Da questa esperienza di peccato e di perdono, nasce la convinzione che nessuno è senza colpa e che nessuno può ergersi a giudice del fratello, come pure, dall’esperienza della misericordia ricevuta, si comprende l’amore di Dio, così ben descritto nella parabola del Buon Samaritano (Lc 10, 29-37), che scendendo da Gerusalemme a Gerico e vedendo il povero viandante derubato e morente sul ciglio della strada, non lo scansa, non lo ignora, ma ne sente compassione, lo prende su con sé e lo cura. Così è nata l’idea dell’Anno della Misericordia, che, nella prospettiva del Papa, ha una duplice valenza: la prima, la più importante e feconda, che riguarda la Chiesa; la seconda che riguarda la società. Egli, infatti, considerava che, a 50 anni dal Concilio Vaticano II, la Chiesa tutta sente il bisogno di purificazione, di penitenza, di riconciliazione, di conversione e di misericordia; una Chiesa, pensa il Papa, che ha bisogno di ritrovare la luce e la gioia della fede, come ha scritto nella sua prima enciclica, Lumen fidei, in cui ha detto chiaramente che bisogna rimettere Gesù al centro della vita ecclesiale e della sua ispirazione; una Chiesa, ha aggiunto nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, che sia al servizio del Vangelo, ossia missionaria, povera tra i poveri; i poveri che furono l’oggetto primo dell’attenzione di Gesù in Palestina. Una Chiesa, ha infine scritto Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’, che chiede alle società civili di oggi di rimettere al centro non gli interessi egoistici, ma i veri valori di bene comune e la persona umana, specialmente gli emarginati, gli scartati, i bambini, gli anziani, i disoccupati, gli sfruttati. Non a caso il Papa ha pensato di aprire la prima Porta Santa in Africa, in un Paese da tre anni distrutto dalla guerra, pieno di odi politici e religiosi; una terra ambìta dalle grandi potenze per le sue ricchezze naturali, divorata da una guerra fatta per procura, cioè dai poveri, suoi abitanti, per potenze occulte che danno denaro e armi, e che vede il Centroafrica all’ultimo posto nella classifica delle nazioni più povere del mondo. Eppure, posso dirvi che ho visto tanta buona gente e soprattutto tanta gioia, e risorgere la speranza che il messaggio di riconciliazione e di pace predicato dal Papa porti un futuro di vera convivenza tra la gente di questo Paese. Oggi a Rossano apriamo anche noi la Porta Santa. Che vuol dire questo rito: aprire la Porta Santa? Una volta nelle città antiche la porta formava una parte essenziale nelle fortificazioni di una città; non era un semplice passaggio, era un luogo di controllo per chi entrava o usciva e attraversarla permetteva sicurezza, riparo o esclusione; nella Sacra Scrittura, invece, si cantava la bellezza delle porte di Gerusalemme nella prospettiva di essere la città di Dio e della pace, e si proclamava beato chi ne varcava la soglia (Salmo 83). Oggi, nelle nostre città assai estese e con un ruolo socialmente differente, non esistono più le antiche porte. Ma le nostre case hanno ancora una porta; i nostri edifici hanno un’entrata. Chi varca la soglia di casa, in verità, è colui o coloro che la abitano, oppure gli amici. L’estraneo bussa e attende; se gli si apre, entra; altrimenti resta fuori. Chi entra poi, è invitato a partecipare alla vita della famiglia. Entrare, superare l’uscio, varcare la porta di casa non è un gesto banale, bensì importante e significativo. Bene! Questo è il senso che si vuol dare aprendo oggi qui una porta speciale nella Chiesa cattedrale. Aprendo questa Porta, ci pare di risentire Gesù proclamare: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10, 9); entrando per questa porta tutti siamo accolti; Dio è il Padre che apre e che invita ad entrare per condividere la sua stessa vita di grazia e incontrare la sua misericordia. Dio è quel padre che sull’uscio di casa attende sempre il figlio prodigo che l’aveva abbandonata e dopo un’esperienza terribile fuori di essa, ridotto alla fame, vi ritorna; in quella casa, ora sente che il Padre non lo giudica, anzi gli fa festa perché lo ha riavuto sano e salvo, e lo riveste del vestito più bello, l’amore. Sperimentare quanto è amabile la dimora di Dio e varcare la soglia della sua casa è meglio che abitare nel palazzo dei potenti (Salmo 83). Ricordiamolo bene! Perdonare, usare misericordia non è un atto facile. Parlo del perdono e della misericordia vera, quella che estirpa dal profondo ogni radice di male, ogni rancore. Quante volte si sente dire: perdono, ma non dimentico! È così difficile usare misericordia nel senso con cui Dio la usa con noi. Non solo Dio perdona, ma dimentica, anzi cancella ogni debito. Questo atto puro è possibile solo per la grazia di Dio. Umanamente è impossibile. Un secondo aspetto da ricordare è che la misericordia, il perdono non è un gesto per l’altro. La misericordia, il perdono fa bene anzitutto a noi stessi, a me; perché mi dona la pace interiore e mi permette di guardare l’altro negli occhi, senza giudizio e con amore. C’è un ulteriore aspetto che vorrei qui non fosse dimenticato ed è il seguente: usare misericordia si può, è possibile, se si ha l’intima e profonda esperienza di essere debitori; ossia che anch’io sono un peccatore; che non sono migliore dell’altro; che anch’io ho tante volte sbagliato, nonostante i miei tanti propositi. L’esperienza del peccato, è vero, umilia, ma è buona, è salutare perché mi aiuta a non essere un giudice spietato. Ci sarebbe qui da richiamare alla mente la parabola del servo senza pietà (Mt 18 23-35): Gesù la racconta per indicare che si deve usare misericordia infinite volte, non come quel servo che, ottenuta la remissione del suo grande debito dal proprio padrone, poco dopo non perdona, né ascolta le ragioni dell’altro servo che nei suoi confronti aveva un piccolo debito. Dobbiamo anche ricordare che la misericordia non si compra, né si vende: si dona gratuitamente. Giovanni l’evangelista (1 Gv 4, 19 ss) ci insegna che Dio, in Cristo, ci ha amati per primo e che per noi ha dato il suo Figlio come vittima di espiazione per il peccato dell’uomo. Soren Kierkegaard pregava: «O Dio che ci hai amati per primo, noi parliamo di te come di un semplice fatto storico, come se una volta tu ci avessi amati per primo. E tuttavia tu lo fai sempre. Molte volte, ogni volta, durante tutta la vita, tu ci ami per primo» (Preghiera). Infine, un’ultima riflessione: la misericordia data e ricevuta è sempre un dono di Dio. Possiamo accoglierla, darla o rifiutarla. Ma non sarà mai un gesto, un atto totalmente umano mio, ma della grazia che opera in me>>.

di Redazione | 12/12/2015

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