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Rossano (Cosenza) - Giornata mondiale della Pace, l’omelia dell’Arcivescovo Marcianò


<<Carissimi fratelli e sorelle, all’inizio di un Nuovo Anno il pensiero e la preghiera della Chiesa son volti, come sempre, ad invocare da Dio il dono della pace. La nostra preghiera e il nostro pensiero sono certamente turbati da quanto accade nel mondo, dai conflitti in Siria e in tanti Paesi dell’Africa, da eventi sconvolgenti che sembrano umanamente impensabili, come la strage di bambini avvenuta in America alcune settimane fa, dalle terribili persecuzioni dei cristiani e di persone straniere in molte parti del mondo, anche a volte nella nostra terra. Ma la nostra preghiera e il nostro pensiero sono certamente attenti a celebrare l’Anno della fede e, in questa fede, a ricordare come la pace sia un dono che da Dio dobbiamo continuare a chiedere e con Lui continuare a costruire. Sì, Perché la fede si traduce in un concreto impegno dei cristiani nella storia. Quell’impegno così chiaramente auspicato dal Concilio e richiamato già all’inizio del Messaggio di Benedetto XVI per questa giornata[1], Messaggio che vogliamo brevemente commentare.Quell’impegno che si caratterizza come «ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo» (n. 1). E proprio in questo sviluppo integrale dell’uomo, il germe della pace si sviluppa come desiderio. È bello che, mentre un nuovo anno segna il corso della storia umana, mentre si guarda inevitabilmente, a volte forse anche in modo superficiale, a quelli che sono i nostri “desideri” per l’anno che inizia, il Papa richiami quel «desiderio di pace» che, «in ogni persona», «è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata». Un desiderio che, prima di tutto, è un dono: «l’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio» (n. 1). Un dono che, a sua volta, è una promessa. La categoria biblica della promessa è profondamente significativa e Benedetto XVI ce ne richiama l’importanza, interpretando il titolo del suo Messaggio che si riferisce alla pace come «beatitudine», cioè come «adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e dell’amore […] Gesù dichiara ad essi – spiega il Papa – che non solo nell’altra vita ma, ma già in questa scopriranno di essere figli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la giustizia e l’amore» (n. 2). Sì, siamo figli. Figli di un Padre che è venuto a portare la pace. Figli di un Padre che ha inviato il Suo Figlio il quale è «la nostra pace» (Ef 3,14). La Liturgia della Parola oggi crea questo binomio tra filialità e pace. Noi siamo figli che possono gridare “Abbà, Padre!” e, proprio perché figli, siamo eredi. La pace è un dono che potremmo considerare parte di questa eredità di noi figli; allo stesso tempo, la pace è il primo dono che abbiamo ricevuto dal Figlio di Dio venuto sulla terra. È la prima parola che i pastori si sentirono annunciare dagli angeli che, nella notte di Betlemme, cantavano Gloria a Dio. E se, come abbiamo ascoltato dal Vangelo, i pastori tornano alle loro vite lodando e glorificando Dio per quanto avevano udito e visto, è vero che essi avevano visto il Bambino e avevano udito un annuncio di pace. È questo annuncio che li fa operatori di pace. Anche per noi è così. Siamo operatori di pace perché figli di Dio, eredi del dono della pace; e siamo fedeli al Padre in quanto operatori di pace. Ma perché questa pace è così legata alla beatitudine? Non è forse, la pace, un’esperienza squisitamente umana, da sempre esistita nella storia in contrasto con la realtà della guerra? Come ogni anno, il Messaggio Pontificio cerca di approfondire le ragioni, le condizioni, il senso di quella pace che non può essere semplificata in una mera assenza di conflitti. La pace è pace tra tutti gli uomini ma anche pace di tutto l’uomo. Infine, «la pace vera nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio» (n. 2). In questo senso, la pace richiede alcune condizioni che ben illustra Benedetto XVI nel suo Messaggio. Vorrei cercare di elencarle brevemente schematizzandole in alcuni NO ed alcuni Sì.   -         NO al soggettivismo e al pragmatismo -         Sì a un umanesimo aperto alla trascendenza La pace è prima di tutto un dato antropologico. È il senso dell’uomo che, se ci pensiamo bene, ispira e regola la stessa convivenza umana. «È indispensabile, allora – scrive Papa Benedetto -, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza» (n. 2). Sullo sfondo della cultura della pace, cari amici, c’è, un «umanesimo aperto alla trascendenza», che è germe di pace in quanto «è frutto del dono reciproco, d un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permettere di vivere con gli altri e per gli altri» (n. 2). È quella che il Papa ha recentemente chiamato «la cultura dell’umano». E questa cultura, di cui la Chiesa deve instancabilmente farsi«garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure»[2]. Si tratta dell’apporto essenziale che la Chiesa offre alla società, allo stesso Stato, senza temere di effettuare indebite intrusioni e non cedendo alla tentazionedi farsi zittire, ma portando avanti quel dialogo nel quale, «insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica»[3].   -   NO al relativismo e all’autonomia morale -   Sì alla verità «Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo» (n. 2). È l’invito a riconoscere una verità da difendere e da rispettare, come presupposto della pace. Quella verità che, come ha affermato ancora il Papa, «non siamo noi a possedere» ma che ci possiede, perché «Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano […]. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità»[4]. Se ci pensiamo bene, la pace è una perché la verità è una. Se così non fosse, anche l’idea di pace sarebbe sottoposta al relativismo e, così, ciò che è pace per una persona potrebbe non esserlo per un’altra, con gravi conseguenze non solo teoriche ma pratiche. Non è forse su questo relativismo della pace che si giustificano anche le guerre?   -   NO al totalitarismo e alla violenza -         Sì alla cultura della responsabilità Non si può parlare di pace vera laddove un certo ordine sia mantenuto a spese della lesione della dignità e della libertà umana, a spese dei suoi diritti e doveri. La pace, infatti, riconosce un altro tipo di ordine; «è ordine vivificato e integrato dall’amore […]. È ordine realizzato nella libertà» (n. 3). Nessun totalitarismo che toglie la libertà e nessun ordine frutto di violenza o repressione saranno mai espressione di pace. È in questo orizzonte che si inserisce il rispetto di alcune forme essenziali di libertà: la libertà di coscienza, che include anche il «diritto all’uso del principio di obiezione di coscienza nei confronti di leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come l’aborto e l’eutanasia» (n. 4) e che interpella in modo concreto e doveroso voi laici cristiani. L’obiezione di coscienza è una forma di protesta civile e un imperativo morale: non ci capiti di diventare, pur inconsapevolmente, cooperatori di leggi inique anche con il nostro silenzio! Accanto alla libertà di coscienza si pone la libertà religiosa: «libertà da» obblighi e costrizioni ma anche «libertà di» testimoniare, annunciare e comunicare la propria religione e compiere azioni educative a tal fine (n. 4). Occorre, però, porre attenzione ad altre tipologie di totalitarismi, altrettanto lesive della dignità umana. Nel Messaggio alla diocesi per il Natale 2012, ho fatto riferimento al«totalitarismo dell’irresponsabilità», raccogliendo la voce allarmata del Presidente dei vescovi italiani, cardinal Bagnasco il quale, intervistato dal Corriere della Sera circa la situazione politica del nostro Paese, aveva qualche giorno fa affermato: «Ciò che lascia sbigottiti è l'irresponsabilità di quanti pensano a sistemarsi mentre la casa sta ancora bruciando». In questo Anno della Fede, in questa Celebrazione Eucaristica, vorrei che raccoglieste, soprattutto voi laici della diocesi, l’invito pressante che ho formulato nel Messaggio natalizio, ad «abbassarsi e ripulire il terreno della nostra umanità dalle radici velenose dell’autosufficienza e di ogni sorta di protagonismo, per ritrovare il seme della responsabilità, più necessario proprio quando la casa brucia»; un invito a ritrovare spazi concreti e forse nuovi di responsabilità, soprattutto di responsabilità civile e politica. La Chiesa e il mondo, cari amici, non possono più farne a meno!   -         NO ad aborto ed eutanasia -         Sì alla vita La prima responsabilità, però, è quella verso la vita. «La fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più l’uccisone di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre felicità e pace», grida Benedetto XVI, aggiungendo con forza che «nemmeno è giusto codificare in maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita» (n. 4). «Veri operatori di pace – chiarisce il Papa, con un passaggio che è stato abbondantemente criticato ma che vorrei rimanesse impresso nelle nostre menti – sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace» (n. 4). Ed è con grande sapienza che la Chiesa, in questa Liturgia di inizio di anno, ci invita a contemplare il Mistero della pace assieme al Mistero della Vita, che rifulge in modo splendido e concreto nel Figlio di Dio generato dal grembo della Vergine, nel dono della Maternità di Maria.   -         NO allo svilimento del matrimonio -         Sì alla comunione e alla famiglia Fra le cause di destabilizzazione sociale, va annoverato il tentativo di rendere il matrimonio «giuridicamente equivalente rispetto a forme radicalmente diverse di unione». È perentorio l’allarme che Benedetto XVI ha lanciato circa gli attentati alla famiglia, in particolare in occasione della presentazione degli auguri natalizi alla Curia Romana, quando ha riconosciuto nella «crisi della famiglia» da una parte «un fraintendimento dell’essenza della libertà umana» ma, dall’altra, il pericolo «di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità» Una filosofia, che ormai sta diventando visione comune, secondo cui «maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria». È proprio vero, cari amici: «nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo»[5]. D’altronde, l’alfabeto della comunione, testimoniato dall’essenza della famiglia e appreso in essa, è la struttura base della pace: non è forse vero che, come afferma il Papa, «la realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana» (n. 3)?   -         NO ad un’economia basata sul profitto e sul consumo -         Sì alla gratuità del dono di sé Ha radici antropologiche anche il NO ad un modello economico, «quello prevalso negli ultimi decenni», che postula la «massimalizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività» (n. 5). Per costruire una nuova economia, che sia realmente economia di pace e al servizio della pace, Benedetto XVI chiede che venga dato nuovo significato ad alcuni elementi fondamentali, primo fra tutti il lavoro, diritto inalienabile, che non deve più essere «una variabile dipendente dai meccanismi economici e finanziari», ma deve basarsi su «principi etici e valori spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale per la persona, la famiglia, la società (n. 4). Il Papa accenna poi all’importanza che per la pace assume il controllo dei mercati, che non devono «arrecare danno ai più poveri», la valorizzazione di «politiche di sviluppo industriale e agricolo», la considerazione della «crisi alimentare, ben più grave di quella finanziaria», che riporta alla luce il tema scottante «della sicurezza degli approvvigionamenti alimentari» (n. 5). Si tratta, in definitiva, di pensare a un nuovo modello economico, costruito a misura della dignità umana e della pace, che riconosca come essenziali i principi di «gratuità e solidarietà» e che delinei il profilo dell’operatore di pace come colui che «esercita l’attività economica per il bene comune, vie il suo impegno come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per sé ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso» (n. 5). Sappiamo vivere così la vocazione umana al lavoro? In questa Eucaristia, e in questo Anno della fede, è indispensabile che noi per primi ci interroghiamo.   Carissimi fratelli e sorelle i Sì e i NO che abbiamo brevemente schematizzato, nella parte conclusiva del Messaggio del Papadiventano una sorta di appello pedagogico, indirizzato a risvegliare le responsabilità della famiglia, della Chiesa, delle istituzioni culturali, scolastiche e universitarie. Esiste, come conclude il Papa, una «pedagogia dell’operatore di pace»; esiste un’educazione alla pace; e dell’educazione, se ci pensiamo bene, i Sì e i NO sono parte integrante. Tale pedagogia riconosce alcuni punti (cfr. n. 7) -         «una ricca vita interiore, chiari e validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati»; -         «una pedagogia del perdono» che superi logiche di odio e vendetta e ricordi che il male si vince con il bene; -         un’educazione all’ «azione, compassione, solidarietà e coraggio», che ricordi a tutti quel fondamentale «dovere di partecipare alla vita pubblica e di contribuire all’attuazione del bene comune»[6] che riecheggiava già nei richiami pastorali con cui Giovanni XXIII chiudeva l’Enciclica Pacem in Terris, promulgata proprio 50 anni fa. Si tratta di un’educazione che, prima di tutto, potrebbe essere un’educazione del desiderio, se è vero che, come dicevamo all’inizio, siamo chiamati a desiderare la pace. Per questo, vorrei concludere traendo dal Messaggio del Papa un ultimo NO e un ultimo Sì. È il NO alla superficialità (cfr. n. 3) ed è il Sì alla speranza e al «primato della dimensione spirituale» (n. 5). È proprio vero: «i nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato a immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo (n. 3). Nell’Anno che inizia, Maria ci conceda questi occhi con i quali Lei ha saputo guardare Suo Figlio e continua a guardare ciascuno di noi costruendo, con Lui e in Lui, quel mondo veramente nuovo che anche noi siamo chiamati a costruire e servire, nella beatitudine che attende chi opera per la pace. Vi benedico. E così sia!>> + Santo Marcianò                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 [1] Benedetto XVI, Beati gli operatori di pace, Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale della pace, 1 gennaio 2013 [2] Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2012 [3]Ibidem [4]Ibidem [5]Ibidem [6] Giovanni XXIII, Lettera Enciclica Pacem in Terris, n. 76  

di Redazione | 04/01/2013

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