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Rossano (Cosenza) - In Cattedrale una solenne concelebrazione eucaristica in occasione della festa patronale diocesana in onore della Vergine Achiropita


Ha avuto luogo in Cattedrale a Rossano una solenne concelebrazione eucaristica, presieduta dall'arcivescovo, in occasione della festa diocesana in onore della Vergine Achiropita che, oltre ad essere Patrona di Rossano, è Patrona pure dell'intera diocesi di Rossano-Cariati. Pertanto erano presenti tutti i sacerdoti delle cinque vicarie e moltissimi fedeli provenienti dai diversi centri del comprensorio diocesano. Hanno preso pate alla celebrazione molti sindaci e rappresentanti delle forze civili e militari. All'inizio della celebrazione il sindaco di Rossano Giuseppe Antoniotti, in rappresentanza di tutti i sindaci della diocesi, ha offerto il cero votivo all'Achiropita. E nel suo breve discorso ha messo in risalto lo stretto legame tra i rossanesi e l'Achiropita, dichiarando la disponibilità dell'amministrazione ad operare in sinergia con la chiesa per rispondere alle diverse e delicate istante che vengono dalla realtà della zona.   Come è tradizione, da qualche anno, l'Arcivescovo Marcianò ha consegnato alla comunità diocesana la sua nuova lettera pastorale. Simbolicamente l'ha consegnata alla fine della celebrazione ai rappresentanti istituzionali, a quelli delle congregazioni religiose presenti in diocesi e ai responsabili delle aggregazioni laicali. Nell'omelia Mons. Marcianò, dopo essersi soffermato su alcune problematiche contingenti che attanagliano la vita del territorio, ha spiegato i contenuti della lettera pastorale. Di seguito il testo dell’omelia: <<Carissimi fratelli e sorelle,   la solenne Concelebrazione per la festa della Madonna Achiropita introduce, come di consueto, il nuovo Anno Pastorale, questa volta dedicato al grande e decisivo tema della fede. Papa Benedetto XVI, che lo ha voluto fortemente[1], aprirà l’Anno della fede il prossimo 11 ottobre in San Pietro, facendo memoria del 50° anniversario dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II e del 20° di pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. Anche noi apriremo con solennità l’Anno della fede il 20 ottobre in Cattedrale, con una Concelebrazione alla quale, già da ora, invito tutti a partecipare. Una serie di iniziative scandiranno appuntamenti importanti di questo anno: la prima sarà il prossimo Convegno Diocesano che avrà luogo nei giorni 17, 18 e 19 settembre, durante il quale verrà illustrato in dettaglio il Programma dell’Anno Pastorale. L’Eucaristia di oggi, tuttavia, rappresenta, in un certo senso, un’aurora di questo inizio. Per questo, saluto e ringrazio ciascuno di voi con affetto e con gioia, offrendovi anche il saluto e la gioia di Maria. -   Un ringraziamento cordiale va anzitutto al signor sindaco di Rossano, Giuseppe Antoniotti, per il suo discorso pronunciato a nome di tutti i sindaci della zona: saluto di cuore quelli qui presenti e, con loro, tutte le autorità civili e militari. Il rapporto tra la Diocesi e le Istituzioni non è un qualcosa di puramente formale ma, come il sindaco ha ricordato e come anche la Visita Pastorale ha confermato, sta crescendo come una sinergia che, nel rispetto dei reciproci ambiti, cerca di vederci uniti nella difesa e promozione di questo splendido territorio. La Chiesa vuole con forza impegnarsi per la città dell’uomo, tanto su scala nazionale e internazionale quanto sul versante della politica locale. E se, come il sindaco ha sottolineato, il vescovo interviene concretamente nella protesta contro decisioni preoccupanti e ingiuste, qual è ora la chiusura del Tribunale di Rossano, lo fa animato da quello stesso spirito con cui cerca di arginare tutte le decisioni che possono ledere la dignità dei cittadini - siano essi poveri, stranieri, disoccupati, carcerati, malati… siano le famiglie e i giovani che risentono delle conseguenze di questa grave crisi economica… siano tutti i soggetti sfruttati dal lavoro nero, le donne e i minori mercificati dalla prostituzione; e il vescovo interviene anche laddove vi siano decisioni che non si dimostrano attente alla salvaguardia, difesa e sviluppo delle nostre bellissime città, con il loro patrimonio artistico, culturale e naturale. In tutte queste lotte e in tutti questi percorsi, mia auguro davvero, carissime autorità, che possiamo essere sempre più uniti. Per quanto riguarda la chiusura-accorpamento del nostro Tribunale, in varie occasioni ho espresso il mio sostegno alla richiesta che sia salvaguardata la sede del tribunale di Rossano. Nelle ultime settimane ho scritto al ministero Severino sottoponendo alla sua attenzione la situazione sociale del nostro territorio. Il mio augurio è che la battaglia per la difesa del tribunale di Rossano sia sempre di più compresa come la richiesta da parte della nostra gente di un maggiore impegno per la legalità e lo sviluppo onesto di questa terra. Sarebbe una sconfitta per tutti se oscure manovre politiche bloccassero questo cammino. -   Saluto di cuore tutti i sacerdoti concelebranti, le persone consacrate, i laici e le famiglie; in modo particolare saluto i giovani, in questo tempo che vede un impegno della diocesi più deciso per la pastorale giovanile, soprattutto in preparazione al Sinodo dei giovani. -   Saluto infine con grande affetto tutti i presenti e coloro che, soprattutto per motivi di difficoltà e sofferenza, non sono fisicamente con noi.   La Lettera Pastorale Il cammino del nuovo anno, che inizia oggi sotto lo sguardo di Maria, è illuminato e accompagnato dalla Lettera Pastorale che vi consegno. Confesso che mi colpisce molto sapere quanto essa, in diocesi, sia attesa e come venga letta e meditata, con sforzo di approfondimento e atteggiamento di preghiera. Ma devo riconoscere che questo è anche lo stato d’animo con cui io stesso uso prepararla. Essa è sempre frutto della preghiera e, assieme, dello sforzo di rendere comprensibili temi importanti per il cammino cristiano dalla comunità, per la sua crescita, per la sua comunione. In questo caso, sinceramente, lo sforzo è stato grande in quanto, come era da aspettarsi, ho voluto centrare la Lettera Pastorale su una parola che è sostanziale per tutta la nostra vita: la fede! Non è facile, come scrivo nell’Introduzione, parlare di fede: «Forse perché la viviamo così profondamente da non saperla comunicare mai abbastanza. O, forse, perché non la viviamo con la dovuta profondità». Parlare di fede, tuttavia, è necessario perché «la vita della Chiesa è, per sua essenza, vita di fede» e «anche la vita del battezzato è vita di fede. È fede in quanto è vita ed è vita in quanto è fede. E la mia vita? E la mia fede?»[2]. È la domanda che vi pongo nella Lettera e dalla quale dobbiamo lasciarci accompagnare, se vogliamo che questo Anno della fede non si risolva in una celebrazione vuota. Ripercorrendo il cammino che vi ho finora proposto con i temi delle diverse Lettere Pastorali – la ricerca di Dio, la Parola di Dio, la figura evangelizzatrice di San Paolo, la Chiesa, i laici, i giovani – non si può non considerare come tutto faccia parte, in realtà, del cammino di fede. Perché, allora, dedicare un’intera Lettera al tema della fede? La risposta ricalca le motivazioni che hanno portato lo stesso Pontefice a pensare all’Anno della fede e che egli manifesta di continuo, ben sintetizzandole nella Lettera Apostolica Porta Fidei. Si tratta, anzitutto, di una preoccupazione che riguarda gli stessi cristiani i quali, non di rado, si danno «maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune»[3]. In realtà, il presupposto che tradizionalmente pervadeva la società e ne impregnava valori fondamentali ha cessato di essere tale, non ultimo a motivo di quell’“analfabetismo religioso” che spesso colpisce i cristiani del nostro tempo, sfociando, a sua volta, in una mancata opera di evangelizzazione. Tuttavia, come ricorda il Papa, «anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr. Gv 4,14)»[4]. Ecco, allora, che l’Anno della fede è pensato – si potrebbe dire in sintesi - per una rievangelizzazione dei credenti e una evangelizzazione dei non credenti: lo affermerà anzitutto il Sinodo dei vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, in programma per il prossimo mese di ottobre. Io stesso scrivo la mia Lettera «anzitutto ai battezzati della nostra Chiesa. Ma scrivo anche a chi “non crede”, a chi, cioè, non riesce a definire la fede in quanto non ritiene di averne l’esperienza»[5]. Perché, in fondo, questa è l’evangelizzazione: non proselitismo ma comunicazione profonda di esperienza. E, in fondo, questa è la fede: “esperienza” di Dio! La Lettera Pastorale vuole tracciare un piccolo cammino di catechesi a tal fine, proponendosi come una “piccola guida” alla lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, corredata da frequenti riferimenti al Concilio Vaticano II e ad alcune pagine di Agostino e di teologi quali Ratzinger, Ranher, Guardini. Siamo chiamati a un cammino di maturazione, convinti che la fede è la risposta che noi credenti diamo al mondo, dinanzi a tutti gli sconvolgimenti personali, sociali, storici.   Gli ostacoli alla fede Spesso una tale convinzione non è sufficientemente radicata e questo è il riflesso di una fede immatura, caratterizzata da problematiche serie; alcune le accenno nella Lettera, altre ho avuto modo di ribadirle in diverse occasioni. Penso al devozionismo puro, non solo limitato all’attaccamento ad antiche tradizioni ma che si estende pure a moderne forme di religiosità non autentica, superficiale, immatura. Penso, d’altra parte, al grande equivoco - sul quale lo stesso Benedetto XVI mette in allarme - di considerare “matura” quella fede che, in realtà, vorrebbe semplicemente “emanciparsi” dalla verità e dall’insegnamento della Chiesa. E non posso non gridare come siano proprio queste forme di emancipazione, quindi di rifiuto della verità, che aprono le porte alla superstizione, alla magia occulta, ad ogni sorta di idolatria. Nella Lettera Pastorale esprimo una chiara condanna di tutti questi fenomeni, purtroppo così diffusi dalle nostre parti. Ma non dobbiamo illuderci: la superstizione, che spesso nel nostro immaginario releghiamo a fenomeni del passato o riteniamo esclusiva di persone magari poco istruite, rappresenta per tutti, anche per noi presbiteri, un pericolo che si corre qualora ci si stacchi dalla verità della fede. La superstizione è rifiuto della verità. E il rifiuto della verità è, comunque, una forma di ignoranza! Per questo quello che, nella stessa Lettera, definisco come l’ostacolo oggi più grande per il cammino di fede è l’agnosticismo, il “non desiderio di conoscere”. Ed è paradossale, proprio nel tempo delle grandi conoscenze scientifiche e filosofiche, l’indifferenza su quesiti centrali dell’esistenza umana, con la quale l’uomo rifiuta se stesso e la propria umanità, segnata invece da un profondo anelito alla verità. La conoscenza di Dio, infatti, è necessaria tanto al sì” della fede quanto al “no” della non fede; come sostiene Karl Rahner, se - per assurdo - si cancellasse dal mondo la parola “Dio”, scomparirebbe pure la parola “uomo”: infatti «l’uomo esiste propriamente come uomo solo là dove egli, almeno sotto forma di domanda, almeno sotto forma di domanda con risposta negativa e sotto forma di domanda negata, dice “Dio”»[6]. Tanti errori, dunque, minano il cuore della fede. Ogni volta che l’indifferenza annulla la verità su Dio, come pure ogni volta che una certa forma di religiosità annulla la verità sull’uomo, vuol dire che siamo lontani da un vero percorso di fede.   Il cuore della fede Ma cos’è, allora, la fede? La Parola di Dio che abbiamo ascoltato lo suggerisce con forza. La fede è, anzitutto, iniziativa e dono di Dio: Lui parla a Noè; Lui, per bocca dell’angelo, parla a Maria. È un Dio, il nostro, che si vuole auto donare, auto rivelare; per questo, Egli pone nell’uomo le Sue tracce, orientandolo al trascendente: noi, cioè, siamo fatti per Lui, per questo siamo chiamati alla fede. La Prima Lettura, tratta dal libro della Genesi, è il brano che ispira il titolo della Lettera Pastorale: «Pongo il mio arco sopra le nubi». Sono le parole che Dio dice a Noè indicando l’arcobaleno, «segno dell'alleanza» tra Lui e la terra che sorge preannunciando la storia della salvezza. E la fede di Noè viene ripresa anche dalla Seconda Lettura, il brano della Lettera agli Ebrei che ripercorre, attraverso la logica della fede, la storia della salvezza, storia che Dio inizia quando l’uomo ha rifiutato il Suo progetto d’amore. Come dico nella Lettera, Dio ricostruisce, non da solo ma chiedendo la collaborazione dell’uomo. «Così, la storia della salvezza si rivela nella sua vera luce. Non una storia d’amore rinnegata, ma una storia d’amore nuova, misteriosamente condivisa: una storia, potremmo dire, scritta a due mani. E la mano dell’uomo, la mia mano, si chiama fede!»[7].   Io Credo Il cuore della fede, il cuore di questa Lettera Pastorale è, pertanto, il «Credo», che rappresenta la risposta dell’uomo, la mia risposta a Dio, senza la quale non c’è fede. Quante volte abbiamo recitato il Credo, forse rischiando di ridurlo a un serie di formule! Per questo, ho voluto riprenderlo nella mia Lettera: perché, se il Credo è la risposta della fede, risposta significa anche responsabilità. Vi chiedo di «rileggere, ridire, rivivere il Credo» e vi invito a farlo intravedendo in esso, in filigrana, anche i Comandamenti e le Beatitudini. La fede implica, cioè, una responsabilità che si radica su dei contenuti e si esprime nella vita. Ed è urgente che, nell’Anno della fede, noi cristiani ci chiediamo a quali responsabilità verso la vita l’ora presente ci spinga con forza; responsabilità alle quali io, vescovo, voglio richiamare oggi, con forza, la mia diocesi. -   Sono responsabilità di preghiera. La fede inizia da Dio, dicevamo; e i primi tre Comandamenti iniziano dal ricordarne l’Unicità, la sacralità del Nome, la necessità di celebrare e adorare Lui. -   Sono responsabilità di coerenza obbediente alla Chiesa; di onestà e rettitudine evangelica che rifiuta il compromesso. Esse si rintracciano anzitutto nella dignità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna: onora tuo padre e tua madre; nella difesa della vita umana, di ogni vita umana in ogni fase e situazione: non uccidere; nel rispetto della dignità del corpo e nella maturazione del dominio di sé: non commettere atti impuri. Su queste fondamenta cresce, come naturale conseguenza, la responsabilità sociale del cristiano: l’onestà, la giustizia e la solidarietà: non rubare; la responsabilità e l’amore per la verità: non dire falsa testimonianza. In una parola, la consapevolezza di quanto sia urgente l’impegno per il bene comune, per il bene dello Stato, dunque l’impegno politico. È proprio vero - lo ha ricordato recentemente il Presidente della CEI; Card. Bagnasco – «che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i valori non sono tutti uguali ma esiste una interna gerarchia e connessione; che l’etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale»[8]. Sono profondamente convinto che solo una seria e convinta applicazione di questa etica – e dico “seria e convinta”, non strumentale a fini elettorali – potrà generare una via d’uscita anche all’attuale crisi economica e alla più profonda crisi politica che il nostro Paese sta attraversando. Perché dal bene che è la vita di ogni persona scaturisce il bene comune; dal rispetto delle leggi che fondano le relazioni familiari sgorga il senso delle relazioni e delle leggi che fondano lo Stato; dalla capacità di dominio di sé matura quell’autorità di essere guida e riferimento che è così necessaria anche alla vita politica. La fede adulta, in fondo, conduce a questo e consegna questo grande patrimonio al mondo. «I grandi statisti cattolici che l’Italia ricorda – continua Bagnasco -, hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l’Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi. Hanno messo a servizio, non di se stessi ma del bene comune, un’alta caratura intellettuale, spirituale e dottrinale formata alla luce del Magistero sociale della Chiesa, senza reticenze o complessi»[9]. -   La più grande responsabilità, dunque, rimane la crescita umana e la conversione personale: gli ultimi due comandamenti ci ricordano che il cammino di fede arriva nelle profondità dell’umano, fino a trasformare i desideri del cuore: non desiderare la donna d’altri e la roba d’altri significa, in sintesi, «desidera il bene». È la logica delle Beatitudini, che conduce proprio a una trasfigurazione di quei desideri che umanamente sembrano assurdi, appaiono indesiderabili, ci colgono deboli. La gioia delle beatitudini richiama la pienezza dell’umanità alla quale la fede conduce.   Come Maria Maria ha capito e realizzato in pienezza questo. Festeggiare la Madonna Achiropita, credere in Maria, Vergine e Madre, significa credere che il mistero che si compie in Lei non la colloca su un altro livello, ma ci addita i livelli di bellezza che l’umanità può raggiungere grazie alla fede. Per questo, non basta credere “in” Maria; è necessario credere “come” Maria e “assieme a” Maria. Sì, cari amici: fede non significa semplicemente che io lascio fare a Dio ciò che vuole; non significa, cioè, rimanere indifferenti o passivi dinanzi a Lui. La sintesi dell’atteggiamento di fede si trova nelle parole di Maria: «avvenga di me». Nella Lettera Pastorale ricordo che l’originale greco «è una forma verbale particolare, l’ottativo: è un verbo, cioè, che non traduce solo obbedienza, accoglienza ma - direi - desiderio, speranza. […]. Dinanzi a ciò che è umanamente impossibile, la fede che Maria vive e ci aiuta a vivere è una fede che desidera la volontà di Dio, che vuole la volontà di Dio; e che, per questo, sa anche desiderare, sa sperare. Maria, però, non dice semplicemente avvenga, ma avvenga «di me». E qui si legge una differenza enorme tra la fede adulta e l’ immaturità della fede. Fede è mettersi a disposizione perché avvenga ciò che Dio vuole; è consapevolezza che Dio vuole «me» e, di conseguenza, dire a Dio che può fare di me, con me, in me e attraverso di me ciò che Lui vuole. Fede è risposta all’iniziativa che è e rimane di Dio, ma che raggiunge ogni singola persona. L’arcobaleno è di Dio, parte dal cielo: ma la Sua Alleanza, dice il brano biblico, è «con ogni carne». Davvero la fede è «luce tra cielo e terra»!       Carissimi fratelli e sorelle, a conclusione della Lettera Pastorale, ho voluto porre una grande preghiera, un “Credo” che vorrei accompagnasse la diocesi lungo tutto il cammino di quest’Anno. Come scrivo, «vi invito a recitarlo nelle famiglie, nelle parrocchie, nelle comunità, nella preghiera solitaria, unendo le singole voci e i cuori a tutte le voci e i cuori di questa Chiesa di Rossano-Cariati e della Chiesa universale. Soprattutto, però, vorrei invitare ciascuno di voi, nel corso di quest’anno, a scrivere il “suo Credo”», con le sue convinzioni, le sue sofferenze e le sue gioie, i suoi impegni. «Lo consegnerete al vescovo, possibilmente in occasione dei Pellegrinaggi che le singole Vicarie faranno in Cattedrale; alla fine dell’anno, tutte queste Professioni di fede saranno raccolte in un unico testo, per ripercorrere il cammino di fede che il Signore vorrà farci compiere in questo tempo»[10]. L’Anno della fede, scrive il Papa, è finalizzato a «riscoprire la gioia del credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede»[11]. E come il “Fiat” della fede di Maria non retrocede nell’ora del Calvario, così il nostro “Amen” sigilla tutto il Credo, in una fedeltà alla fede che rimane sempre, anche nella sofferenza, nella prova e dinanzi all’enigma della morte: come ricordo nella Lettera, l’arcobaleno arriva proprio quando in cielo minacciano le nubi. Il segreto per vivere la fede così è l’abbandono a Dio. La Madonna Achiropita porta questo segreto nel suo stesso nome e nel suo volto dipinto non da mano umana. La fede esplode quando si lascia dipingere a Dio la propria immagine; quando si accetta di diventare, potremmo dire usando una metafora cara a Madre Teresa di Calcutta, “matita” nelle mani di Dio. È la creatura che si scopre umile e scopre l’umiltà del suo Creatore, che le si consegna perché faccia esperienza di Lui. La fede è possibile perché Dio è Umile. E, come la piccola matita ritrova la propria grandezza nelle mani di chi scrive, quella piccola creatura che è la Madonna Achiropita ritrova la propria Bellezza, addirittura la propria «magnificenza» nell’umiltà di sapersi dipinta dal Signore. Sia questa anche la umiltà, sia questa la nostra bellezza, sia questa la nostra fede. E così sia!>>. [1] Cfr. Benedetto XVI, Porta Fidei, 11 ottobre 2011. [2] Santo Marcianò, «Pongo il mio arco sulle nubi» (Gen 9,13). La fede: luce tra cielo e terra. Lettera Pastorale per l’Anno della fede. Ancora, Milano 2012. [3] Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, n. 2 [4] Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, n. 2 [5] Santo Marcianò, «Pongo il mio arco sulle nubi» (Gen 9,13). La fede: luce tra cielo e terra. [6] Ibidem, p. 77. [7] Santo Marcianò, «Pongo il mio arco sulle nubi» (Gen 9,13). La fede: luce tra cielo e terra. [8] Angelo Bagnasco, Omelia per la Festa di San Lorenzo, Genova 10 agosto 2012 [9] Angelo Bagnasco, Omelia per la Festa di San Lorenzo, Genova 10 agosto 2012 [10] Santo Marcianò, «Pongo il mio arco sulle nubi» (Gen 9,13). [11] Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, n. 7

di Redazione | 16/08/2012

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