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Mandatoriccio (Cosenza) - 33 - Parabola di Lazzaro e del ricco epulone


di DON MICHELE ROMANO - "Lazzaro e il ricco epulone", è una Parabola di Gesù, raccontata solamente nel Vangelo secondo Luca (16, 19-31), conosciuta anche come: la Parabola del ricco e del povero". La caratteristica principale, quanto unica, di questa Parabola, è che il povero è indicato per nome (e conosciamo la grande attenzione di Luca verso i poveri!), a differenza delle altre Parabole, dove non sono mai indicati i nomi. Citata da molti artisti e teologici, per i suoi chiari riferimenti alla "vita dopo la morte", nella Tradizione cristiana, Lazzaro (lett.  "lebbroso", ma in senso lato: "Dio aiuta"), è sempre stato visto come protettore dei malati di lebbra, tant'è che i "lebbrosari", dove venivano raccolti i malati, venivano anche chiamati "Lazzaretti"! Invece, l'uomo ricco, tradizionalmente è chiamato "epulone" (che non è un nome, bensì un "compito", una "funzione"), dal latino, significa letteralmente "Banchettatore". Nell'antica Roma, gli "Epulones", erano i membri del collegio Sacerdotale, istituito nel 196 a. C., ed erano incaricati di organizzare le Cerimonie in onore di Zeus (Giove). Un personaggio ricchissimo, che "indossava vestiti di porpora e di lino (tessuti che soltanto i Re indossavano), e ogni giorno si dava a lauti banchetti"(v 19). Invece Lazzaro, nella sua estrema povertà: "coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco (le famose "molliche di pane", con le quali il ricco si puliva le mani
unte di olio, che poi gettava a terra); ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe" (vv 20- 21). È un personaggio "icona", che rispecchia tutte le persone che vivono nell'estrema povertà, o che soffrono ingiustamente. Più che descrivere il mondo futuro, questa Parabola, è più interessata a sottolineare due cose: l'immortalità dell'Anima, e la giusta ricompensa Divina a tutte le nostre azioni! Notiamo bene che Gesù, non parla di "Paradiso", ma di "seno di Abramo", in quanto il Paradiso, prima della sua morte Redentrice, è precluso all'uomo (per questo si riteneva che vi fosse un giudizio "particolare", prima del Giudizio Universale), e nella concezione di allora (più filosofica, che cristiana), le Anime dei Giusti, si trovavano nel "Limbo", mentre i condannati stazionavano nell'Ade (fiume della mitologia classica). Epulone è stato condannato, ed era nei tormenti, ci spiega San Giovanni Crisostomo, non perché era stato ricco, ma perché non aveva avuto compassione, e, soprattutto, perché il suo è l'atteggiamento tipico di chi deve "vedere" i miracoli, per credere, talmente "cieco" da non credere "neanche se uno risuscitasse dai morti" ( v 30); incapace, persino, di vedere "il segno visibile", che Dio, tutti i giorni metteva davanti alla sua porta:il povero Lazzaro, malato ed affamato, oggetto soltanto della misericordia dei "cani". Gesù, in tal modo, ci mette in guardia da un grave pericolo, che minaccia tutti noi, e specialmente coloro che posseggono tanti beni: l'indifferenza verso gli altri e soprattutto verso quelli che soffrono, ciò che Papa Francesco chiama ripetutamente: la "Cultura dello scarto". In fondo, lo sappiamo bene, saremo tutti giudicati, non tanto sui peccati, dove "sovrabbonda" la Misericordia di Dio, ma sull'Amore (Mt 25, 31-46). Purtroppo, ci ammonisce il Catechismo: l'indigenza umana non riguarda soltanto la povertà materiale, ma abbraccia anche tutte le altre forme di povertà, culturale e religiosa (CCC n 2444). In questo senso, anche San Gregorio Magno, spiegava che: Quando noi diamo qualcosa ai poveri, non facciamo mica loro un favore personale, bensì restituiamo quello che già appartiene a loro. Più che un atto di Carità, il nostro, è un atto di Giustizia. Sulla stessa linea, anche San Francesco di Assisi, ammoniva: "I vestiti che hai doppi nell'armadio, le molteplici paia di scarpe che possiedi, il superfluo dei beni, che ti sopravanza..., fanno di te un "ladro", perché appartengono a qualche altro fratello, che in questo mondo, è nudo, scalzo, affamato. Il silenzio, poi, docile ed eloquente di Lazzaro, invita noi tutti, a confidare sempre nel Signore, e ci insegna che anche il "povero", alla porta del "ricco", non deve essere un fastidioso ingombro, ma un appello a cambiare il nostro modo di vivere, aprendo, cioè, il nostro cuore all'altro, perché ogni persona è un dono: sia il nostro vicino, che il povero sconosciuto!
La Parabola, infatti, ci mostra come la cupidigia del ricco, lo renda vanitoso. La sua personalità, si realizza solo nelle "apparenze", nel far vedere agli altri, ciò che lui può permettersi. Un'apparenza che maschera, ahimè, il suo vuoto interiore, rendendo la sua vita: prigioniera delle esteriorità! Infine, ricordiamoci, Amici cari, che siamo "polvere", e come: "Non abbiamo portato nulla nel mondo..., nulla possiamo portare via (1 Tm 6, 7). Non aspettiamo, perciò, di trovarci nei tormenti dell'aldilà, per riconoscere: Abramo come padre, e Lazzaro come fratello! A tutti, giunga l'augurio, di una serena giornata.


di Rubrica autogestita dalla parrocchia "San Giuseppe" Mandatoriccio Mare | 13/11/2023

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