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Mandatoriccio (Cosenza) - 32 - Parabola del fariseo e del pubblicano


di DON MICHELE ROMANO - Questa Parabola "Del Fariseo e del Pubblicano", contenuta nel Vangelo di Luca (18, 9-14), insegna una morale chiara e semplice: l'unico modo corretto di porsi di fronte a Dio, nella Preghiera come nella Vita, è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore! Luca introduce così, il tema della Parabola: "Due uomini salirono al Tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano" (v 10). Non poteva esserci un contrasto maggiore. Nell'opinione della gente di quel tempo, un pubblicano non valeva nulla, era considerato solo un "peccatore pubblico", asservito all'Impero Romano, per il quale riscuoteva le tasse a loro nome, e godevano di una fama pessima, proprio perché ladri. Mentre il fariseo (dall'ebraico "parush", che significa "colui che è separato"), è un uomo religioso, molto stimato all'interno della comunità, a motivo della sua adesione rigorosa alla legge di Mosè. Ma Dio non guardi "i meriti" degli uomini, ma piuttosto, i loro bisogni! Il Signore non è attratto dalle virtù di pochi, ma dalla necessità di molti. L'insegnamento di Gesù, in questa Parabola, è primariamente, rivolto ai farisei, "che avevano l'intima presunzione di sentirsi giusti e disprezzavano gli altri" (v 9), tipico di quelle persone "religiose", che si sentono "a posto" con Dio, e si arrogano il diritto di condannare, giudicare, e "puntare il dito" verso gli altri. Il fariseo era "separato" dal resto della gente, perché praticava nella vita quotidiana, i 613 precetti (365, uno per ogni giorno dell'anno, e che riguardavano le prescrizioni "negative", e 248 (numero delle ossa del corpo umano), che riguardavano le prescrizioni "positive" (dalle quali erano escluse le Donne), che avevano estrapolato dalla legge di Mosè. Come pure stavano attenti a non infrangere nessuno dei 1521 divieti di lavori, da compiere nel giorno di sabato: un'attenzione maniacale, per non contaminarsi da tutto ciò che era ritenuto impuro. Oggi, potremmo tranquillamente definire il fariseo: un professionista del Sacro, il più osservante della Legge. Il pubblicano, invece, era un daziere, un uomo mal visto, chiamato "pubblicano" appunto (Da "pubblicus" - cosa pubblica); era lui che vinceva l'appalto per le imposte delle tasse da dare a Roma. Stabilito quanto dare a Roma, mettevano poi l'imposta che volevano, ovvero, erano veri e propri ladri di professione, considerati, pertanto, totalmente "impuri!" Eppure, anche lui sale al Tempio: perché ci sale, se sa che per lui non ci sono speranze? Ma è proprio qui che risiede tutta la sua grande Fede! Gesù ci presenta quindi il demonio (nel pubblicano), ed il "presunto" santo (nel fariseo). Entrati nel Tempio, il fariseo "stando in piedi" (v 11a), pregava per farsi notare dalla gente: "Amano pregare stando ritti per essere visti dalla gente" (Mt 6, 5). Lui è convinto di essere un "modello" di preghiera per gli altri: mostra le sue virtù, le sue capacità, gli altri lo devono ammirare! Addirittura, dice il testo: "Pregava così tra sé" (v 11b). In realtà, lui non prega il Signore, ma se stesso. Osserviamo, anche, la differenza tra: la Preghiera del fariseo (molto lunga), e quella del pubblicano (brevissima). Lui si compiace di se stesso, il suo è un soliloquio compiaciuto, sui propri meriti e sulle proprie virtù. Ma è proprio questa "la Trave" evangelica, che gli impedisce di vedere se stesso, per essere veramente giusto agli occhi di Dio. Ecco perché Gesù, li definisce "ipocriti", (letteralmente: "teatranti"- "commedianti"). Pensate che il Talmùd diceva: "Al mondo ci sono 10 porzioni di ipocrisia (cioè di "commedia", e 9 si trovano a Gerusalemme). I farisei, proprio perché ritengono tutti gli altri "ladri, ingiusti e adulteri" (v 11c), incappano nel severo rimprovero di Gesù: " Voi farisei, pulite l'esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e di cattiveria" (Lc 11, 39). Nel definire gli altri "adùlteri" (e qui Luca è ironico!), il fariseo, come dire, si tira la "zappa sui piedi", perché è l'immagine con cui la Bibbia, parla dell'idolatrìa degli Ebrei! Hanno abbandonato Dio, il loro Sposo, e sono andati con altri "sposi" (Os 6, 6); "Misericordia io voglio e non sacrificio" (Mt 9, 13). Colpisce, poi, l'espressione davvero grave: "E neppure come questo pubblicano" (v 11c). È il tipico sguardo, di chi è schifato, scandalizzato, perché lui si sente puro, santo, perfetto! Nondimeno è paradossale, quando nel suo auto-elogio, dice: "Digiuno due volte la settimana..."(v 12a). A Dio verrebbe da rispondere: "E chi te lo ha chiesto?" Infatti il digiuno era obbligatorio "una volta" all'Anno, il giorno dell'espiazione (detto Yom Kippùr - Lc 16, 31). Era il giorno in cui tutte le colpe venivano perdonate. Ma i Farisei, che si sentivano, come dire, più preti di noi preti, digiunavano non una, ma due giorni: il lunedì e il giovedì, a ricordo della salita e della discesa di Mosè, dal monte Sinai. Quanti "fariseismi", anche oggi, nella nostra chiesa: Senti dire: "Caro don Michele, io dico il Rosario tutti i giorni..., vado a Messa ogni Domenica..., ma se questo ti fa sentire bene con la tua coscienza, non è mica un merito! Edificante, invece, l'atteggiamento del Pubblicano: "si ferma a distanza" (ritenendosi indegno); "non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto" (segno di dolore e di pentimento); "O Dio, abbi pietà di me peccatore" (non dice al Signore: "Perdonami", ma "Aiutami"). Anche noi, se vogliamo tornare a casa "giustificati", dobbiamo prendere coscienza del nostro peccato, e con umiltà affidarci al Signore. Giunga a voi tutti, l'augurio di una serena giornata.


di Rubrica autogestita dalla parrocchia "San Giuseppe" Mandatoriccio Mare | 11/11/2023

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