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Catanzaro (Catanzaro) - Incontriamoci a Palazzo Fazzari, mercoledi’ assemblea pubblica, presieduta dal Sindaco per “riaprire” lo storico Palazzo


“Incontriamoci a Palazzo Fazzari”. E’ questo lo slogan coniato dall’assessore all’urbanistica, on. Giuseppe Soriero, per l’assemblea aperta, in programma per mercoledì pomeriggio (ore 18), con cui sarà avviata la battaglia per il recupero e la fruizione pubblica dello storico edificio costruito a fine ottocento dal generale garibaldino Achille Fazzari. L’assemblea – riferisce testualmente una nota dell’organo di informazione del Comune di Catanzaro - sarà presieduta e introdotta dal sindaco Rosario Olivo, mentre gli assessori all’urbanistica, Soriero, e alla cultura, Argirò, illustreranno le iniziative che la Giunta intende adottare per salvare Palazzo Fazzari dal degrado, tutelarne la grande qualità architettonica e farne un centro pulsante della città. All’assemblea aperta parteciperanno, naturalmente, le principali istituzioni pubbliche (la Regione Calabria, la Provincia, la Camera di Commercio) chiamate a collaborare ad un’operazione destinata a portare nuova linfa al corso Mazzini e all’intero centro storico. Particolarmente significativa sarà la presenza del direttore generale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria, dott. Francesco Prosperetti, e del SoprintendenteSoprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, dott. Giuseppe Stolfi. Fioccano, in queste ore, le adesioni all’iniziativa del Comune. Vi parteciperanno – continua la nota - i vertici dell’Università Magna Graecia, dell’Accademia di Belle Arti, del Conservatorio, della Fondazione Politeama, dei principali istituti scolastici cittadini, le principali associazioni culturali, esponenti dell’intellettualità cittadina. L’assessore Soriero ha sottolineato il ruolo importante che stanno svolgendo le associazioni dei collezionisti che hanno storicamente avuto nel Palazzo Fazzari il loro centro di aggregazione. Palazzo Fazzari – come sottolinea Oreste Sergi - si pone come un momento in cui si fondono connessioni fiorentine e cultura locale. L’imponente costruzione ottocentesca ricade, infatti, all’interno dell'antico quartiere ebraico della Giudecca, corrispondente all’attuale rione racchiuso tra il Banco di Napoli e Piazza Cavour, sul luogo ove esisteva la sinagoga poi trasformata in chiesa cristiana dedicata a S. Stefano. E’ proprio tra le due più grandi vie della giudecca, ortogonali all’allora corso Vittorio Emanuele ed alla via Principe Umberto, che sorse il palazzo neorinascimentale voluto dal generale garibaldino Achille Fazzari e che fu costruito tra il 1870 e il 1874 su progetto dall'architetto fio­rentino Federico Andreotti. Infatti, in seguito alla vendita della casa Palazziata Corrado e di un gruppo di case nella contrada Santo Stefano, al Fazzari veniva concesso di costruire il sontuoso edificio con impegno, da parte dell’acquirente, della demolizione di parte del fabbricato acquistato per favorire l’allargamento del corso principale. Palazzo Fazzari rappresenta comunque un unicum, una presenza che Emilia Zinzi definisce «isolata e, forse anche per questo ancor più significante nella sua qualificazione formale, della cultura architettonica dell’Italia unita, con un puntuale riferimento ai modi maturati nell’ambito di Firenze capitale e del neo-cinquecentismo, che aveva preso vigore in quegli anni attorno alla sua gloriosa Accademia…Palazzo Fazzari ebbe il suo ruolo di testimonianza d’una volontà di apertura verso la cultura nazionale, che rimase aulico pur se isolato episodio rispetto ad una consuetudine che, ormai da lungo tempo, aveva tratto ispirazione da esperienze napoletane, forse più facilmente traducibili anche nei modi  formalmente modesti possibili ai nostri “maestri di fabbrica e stucco». L’edificio coniuga elementi desunti da palazzi cinquecenteschi calabresi, in particolare nelle soluzioni compositive d'angolo poste tra il prospetto principale e i due laterali, che riprendono quel­li più antichi di palazzo Cavalcanti a Cosenza o di palazzo Di Francia a Vibo, ma la cui soluzione rivela, senza dubbio, una precisa e ricerca­ta “volontà ottocentesca” di indicare l'importanza primaria dei due assi viari sui quali le stesse insistono, rispetto al corso principale. E’ proprio nella sistemazione dei prospetti, nei caratteri costruttivi, ed in una ben precisa ricerca e resa volumetrica dell’edificio, che gli architetti fiorentini cercano di dialogare con il topos – ora occupato dalla nuova costruzione – da una parte modificando il sistema delle relazioni con gli edifici e con gli assi viari presenti che provengono dal passato, dall’altra intervenendo in un’ottica costruttiva di dialogo che erige nuove distanze, guardando storicamente ai valori e alle cose del rinascimento fiorentino, in una prospettiva eclettico-storicistica all’interno di un panorama del costruito, quello locale, ormai sedimentato e stratificato. Ecco allora spiegabile la scelta “materica” locale in diorite di Stalettì attraverso la quale si riprende l’uso del bugnato, che in questo caso viene però assoggettato e ristretto al solo piano terreno scegliendo, per i restanti due piani e per il seminterrato, la minima vibrazione e aggetto di materia, scandita orizzontalmente soltanto dall’uso dei conci squadrati e da fasce marcapiano. Quest’ultime collegano, nel piano nobile e nel piano attico, le grandi aperture, inquadrate da fasce modanate e concluse da triglifi e gutte, sostenenti nel primo caso timpani semicircolari, nel secondo, un semplice cornicione modanato, e che ritmano le tre facciate dando luogo, con la  loro marcata plasticità, a particolari giochi ed effetti di luci ed ombre su tutto il piano di fondo, rimarcati ancora di più dall’aggettante coronamento del tetto alla fiorentina a larghi spioventi, caratterizzato dall’orditura di legno in vista e decorata da mensole e sottomensole scandite da specchiature. Grande importan­za riveste anche l'interno, con l'ampio scalone decorato in finto marmo a stucco, le sale con arredi ottocenteschi d'epoca, l'elegante affre­sco liberty del salone principale realizzato da Alfonso Frangipane e non ultime le decorazioni a “grottesche” di altri saloni realizzati da Enrico e Federico Andreotti. Ma palazzo Fazzari conserva, ancora, al suo interno un interessante arredamento tardo barocco e rococò di fattura ottocentesca, in cui consolles, divani, poltrone, angoliere e tavolini si inseriscono nello spazio dandosi una struttura simmetrica che tiene conto dei rapporti con gli ambienti e con gli altri arredi.

di Redazione | 21/09/2010

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