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Rossano (Cosenza) - Celebrato il Giubileo dei sacerdoti e di consacrati con i vescovi Satriano e Marcianò


Ieri pomeriggio, nella Cattedrale di Rossano è stato celebrato il Giubileo della vita sacerdotale e della vita consacrata. Per l’occasione è ritornato nella città bizantina monsignor Santo Marcianò, attuale Ordinario militare , già Arcivescovo della Diocesi di Rossano – Cariati. Di seguito si riporta il saluto dell’attuale Arcivescovo della Chiesa rossanese, monsignor Giuseppe Satriano e l’omelia di monsignor Marcianò.  

Saluto mons. Satriano:

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Mi consentirai di salutarti, con leggera flessione calabrese, dicendoti “bonuvenuto”. Salutiamo con affetto don Santino Battaglia, che ti accompagna, e i nostri don Pasquale Madeo e don Nicola Masci, figli di questa chiesa che prestano servizio presso l’Ordinariato Militare: è un piacere avervi tra noi.

Caro don Santo, il tuo ministero, in questa Chiesa amata, ha segnato alcuni passaggi significativi della sua vita, pastorale e civile.

Siamo lieti che tu abbia accolto, con generosa disponibilità, l’invito a tornare e presiedere questo importante momento ecclesiale che va al cuore del nostro percorso di santificazione.

Vivere insieme l’odierna eucarestia è un invito forte alla comunione, una rinnovata scommessa nel fare nostre le parole del Vangelo, che invitano a costruire ponti, relazioni vere, capaci di contenere il germe della fraternità e della condivisione, ritrovate ai piedi della Croce.

L’abbracciarti in questa Chiesa Cattedrale, dove tu hai vissuto, con zelo e impegno, il ministero di pastore e di amico dello sposo, è per me Vescovo un momento fortemente significativo ed altamente ecclesiale.

Nella successione apostolica voluta dallo Spirito sono subentrato a te come servo di quella comunione e di quella pace che edifica la Chiesa tutta di Cristo, ereditando semi preziosi e percorsi aperti che consegnano la nostra vita a quella ricerca del bene, che viene solo dal cuore di Dio.

La celebrazione che ci accingiamo a vivere, ricca della tua presenza, è al tempo stesso dono e sfida.

Consegnati all’insondabile disegno dell’Altissimo, oggi proviamo la gioia di rivederti ma al tempo stesso sentiamo l’invito, la sfida dicevo, di aprirci al dono della misericordia che passa attraverso le nostre umili e povere esistenze. La nostra vita, donata a Dio per i fratelli, conosce anch’essa la triste trappola del peccato, ritrovandosi mortificata nello slancio e nell’impegno pastorale.

Abbiamo attraversato la porta Santa con l’ardente desiderio, di essere liberati da noi stessi per ridare maggiore vigore alla centralità di Cristo e del suo amore in noi per i fratelli. Vogliamo imparare a vivere nel suo perdono e nella capacità di costruire percorsi di riconciliazione.

Caro don Santo, come presbiteri e membri della vita consacrata ci affidiamo alla tua invocazione e a quella di tutto il popolo di Dio. La vostra intercessione e la nostra personale preghiera diventino pioggia di benedizione, capace di irrigare i cuori, aprendoli, ancora una volta, all’abbraccio benedicente del Padre.

Nel pregare per te e la Chiesa che servi, l’Ordinariato Militare d’Italia, ci mettiamo in ascolto della tua parola, il Signore ti benedica e ti accompagni nel cammino della vita. Buona celebrazione a te don Santo e buona eucarestia a tutti noi. Grazie!>>.  + don Giuseppe Satriano                                          


Omelia di Monsignor Marcianò:

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«Solo Dio basta!». Potrebbe essere il grido di questo Giubileo straordinario, che riporta la Chiesa alla centralità radicale della misericordia: la misericordia è tutto, la misericordia “basta” perché Misericordia è il nome, l’identità di Dio. E potrebbe essere un commento sintetico e concreto alla Parola di Dio di oggi, attraverso la quale vorreiri percorrere,in tre scene,la storia della vocazione.

«Solo Dio basta»!

Gesù sembra dirlo a Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor.L’esperienza che il Vangelo narra (Lc 9,28-36 ) ricorda il mistero dell’inizio di ogni vocazione. Ed è bello, per ciascuno di noi presbiteri e consacrati - spesso il Papa lo suggerisce - fare memoria di questo inizio, quasi riviverne i sentimenti del cuore.

La memoria è più del ricordo; non è forse questo che celebriamo con l’Eucaristia? La memoria testimonia che quanto ricordiamo non è un episodio appannato e scolorito dal tempo ma una verità ancora viva e feconda, anche se sempre e continuamente trasfigurata.

La vocazione, in realtà, ci ha trasfigurato. In un percorso graduale o nella folgorazione di un attimo, ci ha fatto guardare al mondo da un altro punto di vista, da quella «nube luminosa» del Taborche avvolge di Mistero la chiamata di ogni creatura.

Ciascuno di noi, forse, ricorda il giorno e l’ora in cui Dio lo ha chiamato; soprattutto, ricordiamo la voce del Padre che ci ha indicato nel Figlio, «l’Eletto», Colui la cui Parola avremmo accolto e ascoltato per tutta la vita: che avrebbe mosso le scelte, illuminato il discernimento, nutritoil cammino, direttola preghiera, riempito di contenuti ogni nostro dialogo e relazione con i fratelli.

Ma la voce del Padre, quel giorno, ci ha detto pure che, in quel Figlio Amato, c’era ciascuno di noi; che la vocazione sacerdotale e religiosa si accoglie a partire dal sentirsi amati infinitamente e, per questo, capaci di amare con il Cuore di Cristo, Sposo tenero e forte di ogni consacrato.

È il cuore che veniva trasfigurato in quel momento, mentre i sentimenti si affollavano, contrastanti e confusi, come per Pietro, Giacomo e Giovanni: il «sonno», di chi fugge,unito al desiderio di restare sul Tabor; il balbettio di chi non sa cosa dire,assieme alla scoperta del silenzio, custode stupito delle cose preziose che Dio continua a rivelare… E il nostro «Sì»è sgorgato dal cuore, assieme alla parola pronunciata con Pietro: «Maestro, è bello!».

Non lo dimentichiamo: la nostra vocazione sacerdotale e consacrata nasce dalla Bellezza, la nostra vocazione è Bellezza! La bellezza del contemplare Cristo avvolto di vesti candide e poi di scendere dal monte, soli con Lui solo. La Bellezza è la gioia di un Dio che basta!

«Solo Dio basta»!

Nella prima Lettura (Gen 15,5-12.17-18), il Signore stesso sembra sussurrarlo ad Abramo, tentato di scoraggiamento.

La scena biblica rimanda alla quotidianità della nostra vocazione: fatica e gioia, successi e fallimento, esaltazioni e persecuzioni… al fondo, una sola parola: servire! Portare la Sua Misericordia che cura, risana, restituisce bellezza a noi e a ogni creatura che dobbiamo servire.

Penso a voi, che vi consumate nel raggiungere e servire le periferie esistenziali di questa nostra terra del Sud, specchio e grembo di dolori, difficoltà, emarginazioni che tanti nostri fratelli vivono,anche in altre parti del mondo – io stesso lo tocco con mano nei miei continui viaggi: l’esclusione e la povertà, la carenza di strutture o lavoro, la mano tesa dei migranti in quei mari che diventano nuovi campi di sterminio, il consumismo e la violenza che cancellano valori e schiacciano diritti, prima di tutto quello alla vita e alla libertà religiosa… Quante sfide e povertà sono accarezzate da voi, presbiteri e consacrati! Quanta consolazione e speranza, misericordia e profezia attraversano silenziose la vostra vita donata all’Amore e trasfigurata dall’Unico Amore!

Ma nella quotidianità, come per Abramo, ci aspetta anche la prova, la crisi della vocazione; e nella crisi, che può rappresentare anche un dono, occorre guardarsi soprattutto - Papa Francesco in Messico lo ha affermato con forza – dalla «tentazione della rassegnazione»

Cari amici, non rassegniamoci, mai, anche dinanzi all’impossibile! Non rassegniamoci a soccombere a una sterilità che nulla ha a che fare con la promessa di Dio. La rassegnazione «ci impedisce non solo di camminare, ma anche di tracciare una via… non soltanto ci impedisce di annunciare ma - dice il Papa e mi ha molto colpito – ci impedisce di lodare» Nella quotidianità apparentemente infeconda, Dio rivela ad Abramo la verità fondamentale della sua vocazione: gli chiede di alzare lo sguardo verso quelle «stelle» che sono la discendenza che Egli gli ha preparato. È come se Dio dicesse ad Abramo, e in lui a ciascuno di noi, “tu devi essere padre, devi essere madre; tu sei padre, tu sei madre, anche se i frutti non riesci a vederli, anche se le stelle non riesci a contarle”.

La paternità e maternità è promessa intimamente legata alla vocazione, che si realizza sempre e comunque ma a un’unica condizione: lasciarsi condurre fuori dal Signore, a guardare il cielo, cioè a lodare, adorare. La risposta vocazionale, il ministero dei presbiteri e dei consacrati è un continuo esodo da se stessi, è il superamento degli egoismi e dell’autoreferenzialità, in un instancabile impegno di comunione e servizio che la preghiera trasforma nella fecondità inattesa della promessa di Dio. «Solo Dio basta!». È questo, dunque, il grido della preghiera. Quanta preghiera, se guardiamo alla storia della nostra vocazione! Preghiera consolante o sanguinante, di supplica o di canto, preghiera fiduciosa o inconsapevole…

È la preghiera continuache ci ha consentito e ci consente, come Paolo esorta nella seconda Lettura (Fil 3,17-,1), di rimanere «saldi nel Signore».

Tale saldezza ci rimanda alla maturità della vocazione, alla fedeltà e perseveranza fino alla fine; al segreto consegnarsi quotidiano che permette al prete e al consacrato di prepararsi alla morte vivendo in pienezza la vita.È il destino della nostra vocazione: quella «patria nei cieli», nella quale, spiega Paolo, la «trasfigurazione» sperimentata sul Tabor si compirà nella «croce di Cristo», della quale non dobbia comportarci da «nemici».

La vita sacerdotale e consacrata è, ad un tempo, sguardo rivolto al cielo e profezia di cielo; e anche l’uomo di oggi, appiattito dal materialismo, afferrato della tecnologia, schiavizzato dall’ideologia, ha bisogno di riscoprire il Cielo come patria, come Casa Paterna, nella quale essere accolto da un Padre Misericordioso della cui tenerezza noi - sacerdoti e consacrati ma anche laici, giovani, bambini e, soprattutto, famiglie - dobbiamo essere incarnazione, icona: dobbiamo essere Volto.

Carissimi fratelli e sorelle,

«Gesù Cristo è il Volto della Misericordia del Padre>> scrive il Papa nella Bolla di indizione del Giubileo; e anche il Salmista (Salmo 26) sembra intuirlo: «Il tuo volto, Signore, io cerco».

Cercare il Suo Volto: è la storia di ogni vocazione, è la gioia di ogni vocazione; è il mistero del suo inizio, la forza della sua fatica, la speranza della sua eternità.

Questo Giubileo della Misericordia sia per noi, sacerdoti e consacrati,uno sguardo a quel Volto, una parola d’amore sussurrata a Lui: parola di lode, gratitudine, supplica e certezza, parola di desiderio. Sì, anche la misericordia è desiderio che, a partire dalle viscere, impregna, trasfigura, unifica tutti i nostri desideri nel desiderio del Suo Volto. Volto incontrato, amato, sperato e sempre cercato. «Cercate il suo volto; il tuo volto, Signore, io cerco»… perché «solo Dio basta!».
E così sia!>> +Santo Marcianò

 

 

 

 

 


di Redazione | 22/02/2016

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