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Rossano (Cosenza) - Concluso il convegno pastorale diocesano della Diocesi di Rossano-Cariati sulla “Missione”


“La Missione: un amore urgente”. E’ il titolo dell’annuale convegno diocesano che si è concluso venerdì sera con una celebrazione della Parola in Cattedrale a Rossano. Le prime due giornate di mercoledì e giovedì scorso (introdotte dal vicario generale mons. Antonio De Simone) si sono svolte al Metropol di Corigliano. Oltre settecento i partecipanti provenienti da ogni parte della diocesi. Ha guidato i lavori il vicario per il coordinamento della pastorale don Pietro Madeo. Il tema riprendeva i contenuti della recente lettera pastorale dell’Arcivescovo Santo Marcianò “Caritas Christi urget nos”. Due le relazioni portanti delle tre-giorni: in apertura quella biblica di P. Michele Mazzeo, ofm docente di Sacra Scrittura all’Antonianum di Roma, che aveva come traccia il testo giovanneo “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato/mandato il suo Figlio per salvare il mondo”. Giovedì è intervenuto il Card. Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, trattando: “L’urgenza della missione. Riflessioni teologiche e indicazioni pastorali”. Rivolgendosi ai laici il porporato ha ribadito: “voi siete gli evangelizzatori più necessari”. Ha poi raccomandato la comunione “anima della missione, forza e criterio della evangelizzazione”. Nel corso dell’assise sono state date pure alcune comunicazioni. Tra queste una su “La pastorale degli oratori”, a cura di don Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale Cei di Pastorale giovanile. Altra comunicazione è stata proposta mediante un video su don Pino Puglisi. Le conclusioni sono state tratte da mons. Marcianò durante l’omelia della celebrazione di chiusura venerdì sera in cattedrale a Rossano. Di seguito si riportano le conclusioni dell’Arcivescovo, presso la Cattedrale di Rossano: <<Carissimi fratelli e sorelle, annunciare il Vangelo è per noi, come per Paolo, «una necessità»! Ed è per questo che era necessario pensare, dopo l’Anno della fede, a vivere, come Chiesa, l’Anno della missione.Una missione che nella Lettera Pastorale ho definito come «amore urgente»[1]; una missione di cui sento l’urgenza premere nel mio cuore di vescovo e, se mi consentite, prima ancora di cristiano. Ringrazio il Signore che ci ha dato di vivere questi giorni di Convegno diocesano come un dono che ci ha spinti ulteriormente sulle strade della missionarietà. Ringrazio – l’ho già fatto in queste sere – i relatori: sua Eminenza il Cardinal Salvatore De Giorgi e padre Michele Mazzeo per il loro contributo fondativo, nonché don Michele Falabretti che ci ha aiutato a riflettere sulla realtà degli oratori. Ringrazio tutti coloro che sono stati presenti, in molti anche portando il loro contributo di riflessione e testimonianza. E ringrazio coloro che si sono occupati dell’organizzazione del Convegno, dal Vicario Generale ai volontari. È il momento di trarre delle Conclusioni che poi, in realtà, si traducono in un inizio. È il momento – potremmo dire - di iniziarlo davvero questo Anno della missione! Da dove iniziare, da chi iniziare, come iniziare? Sono tre interrogativi, semplici ma legittimi, che penso vi siate posti durante il Convegno e forse anche dopo la lettura della Lettera Pastorale. Vi confesso che anch’io, in questi giorni, mi sono fatto questa domanda, nella riflessione e nella preghiera, perché volevo, questa sera, offrirvi una pista di “inizio”, più che ripetere quelle indicazioni per tutto l’Anno Pastorale che già potrete trovare in abbondanza nella Lettera e che anche in questi giorni sono state riprese, in particolare dalla relazione del cardinal De Giorgi. Con voi, dunque, mi interrogo e cerco di rispondere brevemente.   1.      Da dove iniziare? Prima di tutto da dove io, vescovo, vorrei che iniziasse, si sprigionasse, si irradiasse la luce e la forza della missione in questo anno? «Dalle parrocchie!». Io ho risposto così. Nella Nota Pastorale “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, i vescovi italiani così si esprimono: «Agli inizi, la Chiesa si edificò attorno alla cattedra del vescovo e con l’espandersi delle comunità si moltiplicarono le diocesi. Quando poi il cristianesimo si diffuse nei villaggi delle campagne, quelle porzioni del popolo di Dio furono affidate ai presbiteri. La Chiesa poté così essere vicina alle dimore della gente, senza che venisse intaccata l’unità della diocesi attorno al vescovo e all’unico presbiterio con lui. La parrocchia è dunque una scelta storica della Chiesa, una scelta pastorale, ma non è una pura circoscrizione amministrativa, una ripartizione meramente funzionale della diocesi: essa è la forma storica privilegiata della localizzazione della Chiesa particolare»[2]. Le parrocchie, dunque, nascono da un’esigenza della Chiesa di vicinanza alla gente!Una vicinanza che, certamente, non vada a discapito dell’unità, della comunione ecclesiale. È la stessa Chiesa, l’unica Chiesa che è presente nelle singole parrocchie; ed è la Chiesa che, attraverso le parrocchie vuole essere vicina a tutti i suoi figli Del resto, come vi scrivevo, «sono profondamente convinto che questa mia Lettera Pastorale rimarrà senza efficacia se non porterà, in qualche modo, a riscoprire e a far risplendere quel “volto missionario” che è il volto proprio della parrocchia»[3]. E, aggiungo stasera, sono convinto che tutto l’Anno della missione non sarà celebrato se non passerà prima nelle parrocchie! Perciò chiedo a tutti i soggetti dell’evangelizzazione, quindi a tutti, di convergere con forza, quest’anno in modo particolare, attorno alla missione della parrocchia. A compiere questo passo ci aiuterà, in concreto, la grande iniziativa della missione popolare che, come sappiamo, si svolgerà per due settimane in contemporanea in ogni parrocchia. Un’occasione di aggregazione attorno alla comunità, un’occasione di integrazione tra le varie parrocchie che sanno di non essere sole a celebrare tale missione. In definitiva, un momento di Chiesa, da vivere anche come momento di grazia e di formazione. Ma cosa deve fare la parrocchia per essere e diventare sempre più missionaria? Vi ho fatto distribuire, ieri sera, la recensione di un interessante e provocatorio libro di don Antonio Fallico, pubblicato negli anni novanta e ora in riedizione: «Le cinque piaghe della parrocchia italiana»[4]. Utilizzando una famosa espressione di Rosmini, l’autore individua cinque problemi nelle nostre parrocchie: missione anemica, catechesi sclerotica, disimpegno socio- pastorale, scollamento tra parrocchie e movimenti, clero non sempre attento alle nuove domande socio-pastorali. Mi sembra siano punti sui quali interrogarsi concretamente nell’Anno della missione e vorrei che ogni parrocchia lo facesse. La parrocchia, infatti, secondo tale lettura, si presenta come un organismo statico, ancorato al passato, incapace di linguaggi moderni; soprattutto, una realtà che si attarda dentro il recinto del tempio senza – come direbbe Papa Francesco – andare in cerca delle 99 pecore perdute ma accarezzando e pettinando l’unica pecora rimasta dentro[5]: senza, cioè, intersecare e condividere i bisogni concreti della gente. E la causa principale di tutto questo, secondo l’autore, è da ricercarsi nei sacerdoti: è «la non adeguata preparazione pastorale del presbitero-pastore»[6]. Le parole sin qui dette, credetemi, non vanno interpretate in senso disfattista ma devono servire a metterci dentro l’ansia pastorale, l’amore urgente che ci permette di sognare. E chi di noi non sogna una parrocchia che sia veramente vicina alla gente, che sia una casa aperta, accogliente, dove ciascuno può sentirsi a casa?Quanto bisogno c’è di una casa così, per gli uomini e le donne di oggi, frammentati in un individualismo che, alla fine lascia nella solitudine! Come diceva il beato Giovanni Paolo II, la parrocchia è «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie»[7]: che dono e che responsabilità! Una casa tra le case: una casa aperta alle case, alle strade… in una parola, alla gente. Cominciamo dalle parrocchie, dunque; e cominciamo, come si diceva in queste sere, ad “aprire” – letteralmente – le chiese e le comunità. Se un ragazzo dopo la Messa trova la Chiesa chiusa, ricordava il cardinale De Giorgi, cercherà più facilmente il branco. E colpisce con quanta semplicità Papa Francesco abbia esortato in tal senso i presbiteri di Roma, parlando della necessità di una «coraggiosa creatività» e ricordando la sua esperienza di vescovo con un sacerdote della sua diocesi di Buenos Aires, il quale si interrogava proprio su come rendere accogliente la propria parrocchia: «forse sarebbe bello che la chiesa fosse aperta tutta la giornata… Bella idea! Anche sarebbe bello che ci fosse sempre un confessore a disposizione, lì… Bella idea! E così è andato»[8]. È questa la strada. Spalancare le chiesa affinché tutti, e prima di tutto i giovani - ce lo diceva anche il cardinale citando Giovanni Paolo II - possano aprire il loro cuore a Cristo! Io so che questa strada è faticosa, non solo fisicamente, perché richiede ai presbiteri in particolare di essere “dentro” la parrocchia e “fuori”, sul territorio, tra la gente: dentro perché fuori e fuori perché dentro; lo ha ammesso anche Papa Francesco: «Quando un prete è in contatto col suo popolo si fatica […] perché davvero il popolo ha tante esigenze, tante esigenze!»[9]. Ma come non pensare alla fatica che ha fatto un prete santo come don Pino Puglisi? Ieri lo abbiamo ricordato con commozione. Ha faticato, per farsi, come dice Paolo, «servo di tutti». D’altronde anche il cardinale lo ricordava, ministero sacerdotale significa servizio. In questo Anno della missione, sento di dover affidare in modo speciale voi presbiteri alla protezione, all’intercessione e alla testimonianza del beato Pino Puglisi, perché vi aiuti a crescere nel vero servizio a Dio e all’uomo, con «coraggiosa creatività». Sì, cari sacerdoti, sono certo che nel vostro cuore innamorato di Dio e della gente ci sia nascosta tanta di quella «coraggiosa creatività» che lo Spirito stesso dona. E sono certo che questa creatività è anche nel cuore di tanti laici delle vostre comunità. Una «coraggiosa creatività» che, come afferma ancora il Papa, non significa «fare qualcosa di nuovo» ma «cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato»; creatività «non è soltanto cambiare le cose» ma «viene dallo Spirito e si fa con la preghiera e si fa parlando con i fedeli, con la gente»[10]. A tutti voi, oggi, chiedo con forza il coraggio di questa creatività, per il nostro Anno della missione, e chiedo di ascoltarvi reciprocamente: ai presbiteri chiedo di ascoltare i laici, i fedeli della parrocchia; ai laici chiedo di ascoltare i parroci e collaborare con loro. E questo ascolto vicendevole, come sappiamo, riconosce anche luoghi e mezzi appropriati, quegli organismi di partecipazione che sono dei veri e propri organismi di comunione – Consiglio pastorale e Consiglio per gli affari economici – di cui chiedo a tutte le parrocchie di procedere al rinnovo, secondo le direttive indicate nel Direttorio per i Consigli parrocchiali, da poco pubblicato nella nostra diocesi. Soprattutto, chiedoche i diversi gruppi e movimenti ecclesiali si ascoltino a vicenda: unite le vostre forze, carissimi, attorno alla parrocchia, per una missione che sarà più intensa, ricca e creativa.Il primo impegno della missione –lo diceva pure il cardinale ieri sera - è, infatti, la comunione: «un Cristo diviso – egli affermava – non è credibile!». Del resto, come facciamo ad essere vicini alla gente se non siamo uniti? Come facciamo ad essere vicini alla gente se, a partire dai preti, siamo autoreferenziali e autosufficienti? Le parrocchie sono una grazia ecostituiscono il segno evidente, quasi sacramentale, di una Chiesa che, nei singoli e nella comunità, si vuole fare, come dice Paolo «tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno».   2.      Da chi iniziare? Stiamo parlando di «tutti»: tutti devono essere raggiunti dalla  missione della Chiesa. Ma, di questi «tutti», da chi iniziare? Sulla scia di quanto ho scritto nella Lettera e di quanto emerso in questi giorni di Convegno, mi pare di poter  individuare tre priorità: i giovani, la famiglia, la politica.   -         I giovani L’universo giovanile non può più aspettare! La missione ai giovani è missione del futuro. E quando parlo di giovani qui intendo anche ragazzi e adolescenti. Come vi scrivo nella Lettera, «la Pastorale giovanile, che a fatica ma con molta determinazione stiamo ricostruendo in diocesi, deve trovare, nell’anno della missione, un impulso nuovo e unificare, come più volte ho avuto modo di affermare, i diversi settori della Pastorale. E credo che un tale impulso possa essere dato, in particolare in questo anno, proprio da una riscoperta della speranza come Vangelo. Sì, il Vangelo della speranza potrebbe essere il senso dell’annuncio ai giovani: a partire da una migliore consapevolezza di quali sono le speranze su cui oggi gli stessi giovani si trovano a contare e quelle che, invece, desidererebbero possedere. Per questo bisogna andarli a cercare: nei luoghi del loro quotidiano dei quali abbiamo già parlato, come la scuola e i luoghi di ritrovo. E per questo si può pensare a proporre la speranza come tema di riflessione, approfondimento, confronto e, nei contesti idonei, come catechesi e preghiera»[11]. L’emergenza-giovani è tornata prepotentemente nelle riflessioni di queste sere di Convegno, in particolare trattando il tema interessante dell’Oratorio, luogo in cui si costruisce comunità, luogo in cui si intessono relazioni, luogo che è casa accogliente e sempre aperta per i ragazzi, luogo in cui essi imparano a vivere perché imparano a fare esperienza. E proprio a questo fare esperienza mi collego per dire che i giovani – lo abbiamo ripetuto tante volte – non sono solo oggetti della missione ma soggetti: direi, anzi, che più sono soggetti e più diventano oggetti di evangelizzazione. Se la missione della nostra Chiesa si deve rivolgere ai vari ambiti che ho indicato nella Lettera Pastorale e sui quali non torno perché lo ha fatto in dettaglio il cardinale: le case, gli ospedali, le scuole, i luoghi di lavoro, i luoghi di ritrovo, le strade; fra tutti questi, la scuola è stata oggetto di particolare riflessione al convegno, soprattutto in relazione al ministero degli insegnanti di religione ai quali chiedo con forza di rileggere in chiave missionaria, in questo anno, il tutto il loro lavoro. Ma è la parrocchia – dicevamo - che deve assumere i vari ambiti della missione e deve e può farlo anche attraverso il “ministero” dei giovani! Penso qui alla mia esperienza personale, a quell’impegno di missione che ho avuto il dono e il compito di portare avanti negli anni della mia giovinezza, in un servizio costante ai malati, agli anziani, alle persone povere e sole… Penso che, dopo la famiglia, sia stato quello il mio primo seminario, un luogo e un tempo in cui Cristo stesso mi ha educato, facendomi incontrare e toccare la Sua Carne - come ama dire Papa Francesco - nella carne di coloro che soffrono. E non è forse questo il cuore della missione? Cari giovani, non vi tirate indietro dalla Carne di Cristo! Non abbiate paura di dare il vostro tempo e la vostra giovinezza a coloro che, in diverso modo, si trovano sulla croce della solitudine, dell’abbandono, del dolore, della vecchiaia. Questa strada è la strada della felicità e della missionarietà perché vi forma, già da subito, a capire nel profondo il senso della vita, che è il dono di sé, e ad imparare la metodologia della missione, che ci chiede di“uscire”,prima di tutto da noi stessi. Tante volte, noi adulti dobbiamo ammetterlo, i vostri occhi sono più capaci dei nostri di cogliere le piaghe dell’umanità; i vostri piedi e i vostri cuori sono più liberi dei nostri, per mettersi in cammino e servire. Non fatevi spegnere questo entusiasmo coraggioso, anzi risvegliate tutta la Chiesa alla missione evangelizzatrice!   -         La famiglia «La pastorale della famiglia – vi ho scritto nella Lettera Pastorale - è, per la diocesi, un impegno che ho sempre cercato di promuovere instancabilmente, nella profonda convinzione che si tratta di un prezioso servizio reso alla Chiesa tutta e alla società, soprattutto oggi, quando la stessa politica sembra disorientata circa il concetto di famiglia, i diritti della famiglia, la necessità di assicurare aiuti, anche concreti, alle famiglie»[12]. È allarmante l’attacco alla famiglia che, in modo più o meno subdolo, proviene da una certa cultura dominante. Lo ha accennato anche il cardinal De Giorgi, paventando pure il pericolo che un certo tipo di legge contro l’omofobia, attualmente allo studio al Parlamento, potrebbe rappresentare non solo per l’istituto familiare ma anche per la concezione antropologica della persona umana. Se, come ha affermato il cardinal Bagnasco nella Prolusione alla 47ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, «nessuno discute il crimine e l’odiosità della violenza contro ogni persona» (e questa sola sarebbe la vera omofobia) «per lo stesso senso di civiltà nessuno dovrebbe discriminare chi sostenga che la famiglia è solo quella tra uomo e donna fondata sul matrimonio o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura»[13]. La missione verso la famiglia sta diventando sempre più un fatto culturale, e questa cultura individualista si potrà vincere con la cultura dell’incontro, della prossimità tra le famiglie, con la testimonianza del vivere da cristiani il progetto di Dio sulla famiglia. Voi, famiglie, dovete considerare questa la vostra prima missione, evitando, come si diceva anche ieri sera, quella clericalizzazione che a volte rischia di far assumere compiti che sarebbero del sacerdote e vi spinge quasi a trascurare e mortificare la vocazione coniugale a voi affidata. Per questo, ripeto quanto ho avuto modo di chiedere nel recente convegno per operatori di pastorale familiare: prima di tutto puntare alla costituzione dei gruppi famiglia parrocchiali! Per operare, alla lunga, una conversione: passare, cioè, dai “gruppi famiglia” alla famiglia come “schema dei gruppi”, come criterio e modello per l’organizzazione pastorale della comunità. Morta quella parrocchia senza gruppi famiglia!   -         La politica Sulla necessità dell’impegno politico dei cattolici, come parte del ministero laicale, la Chiesa italiana sta tornando con accorata insistenza. Anch’io l’ho fatto nella Lettera Pastorale dove, peraltro, l’impegno politico è declinato anche nel senso più generale di impegno per la città dell’uomo: «Così come vi mando nelle case, dunque, vi mando nelle città. Sì, nelle nostre città, primo luogo di missione per ciascuno di noi. La città, intesa in senso locale e sociale. L’anno della missione ci chiede di fare qualcosa di bello per le nostre città. Penso che possano essere iniziative sociali semplici, che possono andare dalla pulizia di alcuni territori ad impegni socio politici più importanti, per chi vi si senta chiamato»[14]. E vi esorto a mettere davvero in pratica queste semplici indicazioni. In questo anno, dunque, parte della missione sarà rivolta allacura delle nostre città, impegnandosi per renderle più umane e promuovendo i loro servizi. Penso alla protesta che si sta giustamente portando avanti, in questi giorni, contro la chiusura del Tribunale di Rossano; ma penso anche – come ho scritto nella Lettera – alla gravissima situazione del mondo della sanità, che esigerebbe una protesta ancora più decisa, in quanto reca conseguenze estremamente pericolose per la salute e la vita dei cittadini. La nostra missione, cari amici, è anche cura del «bene comune». E come scrive Papa Francesco nella sua prima Enciclica, «Quanti benefici ha portato lo sguardo della fede cristiana alla città degli uomini e per la loro vita comune!»[15]. Bisogna,pertanto, che i cattolici siano attenti alla politica ed è necessario che alcuni di voi laici prendiate in seria considerazione la vocazione politica: chi può si interroghi su questo nell’Anno della missione. Ma dovete farlo –e questo vorrei gridarlo forte, anche pensando a tanti esempi concreti – rimanendo cattolici! Rimanendo, cioè, fedeli a quella verità della Parola di Dio, insegnata dal Magistero della Chiesa, a servizio della quale la nostra missione si consuma! Io credo che se molti cattolici prendessero sul serio la politica e se molti politici (anche cattolici!) prendessero sul serio il Vangelo, non avremmo certamente tutti questi problemi sociali.   3.      Come iniziare? Ma come iniziare la nostra grande missione? Da noi stessi! Dalla nostra conversione, dalla vita interiore e dalla formazione, come ci veniva anche ricordato in questi giorni. A questo scopo, ho pensato ad alcune iniziative che, a conclusione, illustro brevemente. -         Il primo passo è quello della preghiera e della pastorale biblica. La missione inizia da Cristo perché è Lui che ci manda; e noi vogliamo imparare cosa significhi essere mandati, come i primi apostoli. In tutto questo anno, come già ho detto, tutte le comunità sono invitate a portare avanti la Lectio Divina continua sugli Atti degli Apostoli, una Lectio che io per primo proporrò in occasione della Scuola di preghiera. -         La nostra pastorale biblica sarà aiutata, lo dico con trepidazione e emozione, anche dal rilancio del Codex Purpureus, di cui attendiamo il riconoscimento, da parte dell’UNESCO, quale bene patrimonio dell’umanità. Non lo dimentichiamo, si tratta di un prezioso Evangeliario; si tratta di un’opera d’arte ma anche di una testimonianza di fede; si tratta, pertanto, di uno strumento di missione. -         Il tema della missionarietà sarà oggetto dei Ritiri mensili del Clero, con un percorso che, parallelamente, verrà proposto ai laici, nel pomeriggio degli stessi giorni. -         La stessa metodologia sarà utilizzata per gli incontri di aggiornamento del clero, proposti anche ai laici, nei quali verranno affrontati temi specificamente missionari: il problema dei matrimoni misti e delle situazione coniugali difficili e irregolari; le sette sataniche e il pansessualismo; la pastorale vocazionale e l’importanza della direzione spirituale nel discernimento vocazionale; infine, come abbiamo visto al convegno, sarà organizzato un vero e proprio laboratorio sul tema degli oratori giovanili, per approfondire in particolare alcuni aspetti metodologici. -         Sarà importante in questo anno il coinvolgimento di tutti gli uffici diocesani ma, in modo particolare, dell’Ufficio catechistico e dell’Ufficio missionario, al quale è affidato il grande compito di animare la missionead Gentes sul territorio. -         Infine, ricordo ancora i nostri Pellegrinaggi: a Fatima, dal 6 al 9 dicembre, per affidare a Maria tutto l’Anno della missione e in Cina, da 8 al 19 luglio, per concludere questo anno nel ricordo del grande evangelizzatore Matteo Ricci e dei grandi martiri che hanno dato e danno ancora oggi la vita per l’annuncio ad gentes, alle genti che non conoscono il Vangelo.   Carissimi fratelli e sorelle, siamo tutti consapevoli che la missione richiede uno stile. Uno stile che ci porta, come dice Paolo, a «guadagnare» tutti al Vangelo. E’ questa la vocazione della Chiesa, e per questo che il Signore ha voluto la Chiesa. Sentite cosa, provocatoriamente scrive Primo Mazzolari: «Chiesa, tu fai la storia! E questa è la storia: la tua resistenza, la tua pietosa imperturbabilità, la tua vita perenne, più viva quanto gli uomini ti credono morta. Custode di una eredità che non muore: anello di comunicazione misteriosa e magnifica tra la patria delle cose puerili e quella delle cose eterne: stranamente vituperata nei giorni dell’ira e vivamente necessaria agli stessi vituperatori nei giorni dell’infortunio. Tu possiedi un libro, una croce, un pane con cui puoi alzare gli schiavi, insegnare, benedire, compiangere». È un guadagno senza guadagni.Perché, allora,annunciare? La risposta è nelle parole di Paolo: Caritas Christi urget nos! La risposta è: per amore! La risposta è in quell’«amore urgente» che spero si riaccenda sempre più nei nostri cuori. Il guadagno, cari amici, conosce il prezzo inestimabile e bellissimo della gratuità, del servizio, dellapassione, dell’amore. Perciò, è un guadagno che conosce la gioia. A conclusione del Convegno e all’inizio di questo Anno Pastorale,questo sento di chiedere, prima di ogni cosa, allo Spirito Santo. Lui, il vero protagonista della missione, ci faccia riscoprire la gioia di annunciare il Vangelo, di portare il Cristo, di contribuire alla salvezza dei fratelli. La gioia di vivere per Gesù e per la Chiesa, di far vivere Gesù in molti cuori e di portare molti cuori alla Chiesa. Sì, forse sarà questo il vero modo di misurare la riuscita dell’anno della missione: la crescita di quella gioia che nessuno può togliere ma nessuno può dare, se non il Signore. Quella gioia che, se ci pensiamo bene, fu la prima parola che la stessa Madre di Gesù si senti dire dall’angelo all’Annunciazione: «Rallegrati, Maria!». A Lei, che ha detto il suo “sì” alla gioia e con gioia ha vissuto e vive la sua missione di portare Cristo atutti noi, con fiducia ci affidiamo: «Maria, Madre dell’amore urgente, prega per noi!». E così sia!>>. [1] Santo Marcianò, Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14). La missione: un amore “urgente”. Lettera Pastorale per l’Anno della missione, Ancora, Milano 2013. [2] Conferenza Episcopale Italiana, Nota Pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n. 3. [3] Santo Marcianò, Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14). La missione: un amore “urgente”,cit. [4] Antonio Fallico, Le cinque piaghe della parrocchia italiana, Ed. Cittadella, Assisi (PG) 2013. [5] Cfr. Papa Francesco, Discorso al Convegno Pastorale della diocesi di Roma, 17 giugno 2013. [6] Antonio Fallico, Le cinque piaghe della parrocchia italiana, p. 233. [7] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christifideles Laici, n. 26. [8] Cfr. Papa Francesco, Dialogo con i sacerdoti della diocesi di Roma, San Giovanni in Laterano, 16 settembre 2013. [9]Ibidem. [10]Ibidem. [11] Santo Marcianò, Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14). La missione: un amore “urgente”. [12]Ibidem. [13]Card. Angelo Bagnasco, Prolusione alla 47a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, Torino, 12 settembre 2013. [14] Santo Marcianò, Caritas Christi urget nos (2Cor 5,14). [15] Cfr. Papa Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei, n. 54.

di Redazione | 23/09/2013

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