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Rossano (Cosenza) - Mons. Francesco Milito, consacrato Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi


Migliaia di fedeli hanno partecipato ieri pomeriggio, domenica 13 maggio, presso lo stadio comunale di Rossano, alla consacrazione episcopale di Mons. Francesco Milito, Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi. Di seguito si riportano sia l’omelia di Mons. Santo Marcianò, Vescovo di Rossano – Cariati e sia i ringraziamenti del neo Vescovo, Mons. Francesco Milito. Inoltre, in coda viene effettuata la descrizione araldica e teologica dello Stemma di monsignor Milito. Omelia di Mons. Santo Marcianò: <<Carissimi confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, distinte autorità civili e militari, cari fratelli e sorelle, carissimo Monsignor Milito,   nella Celebrazione Eucaristica, la Parola di Dio offre sempre lo sfondo. Essa è interpretazione della storia umana ma è anche la nostra biografia e disegna il volto stesso che il Signore dona a ogni chiamato. «Io ho scelto voi e vi ho costituiti» (Gv 15,16), abbiamo ascoltato dal Vangelo. Il verbo che traduciamo con “costituire” (in greco étheca) esprime non solo l’idea della collocazione (essere posti da qualche parte) ma anche della plasmazione, direi della creazione (essere fatti). È il cuore di quanto oggi noi tutti, in particolare tu, carissimo don Franco, viviamo. Dio, che ti ha scelto, ti consacra, cioè ti costituisce, ti crea come vescovo e, attraverso la Sua Parola creatrice, ti dona un volto nuovo. Lo fa in virtù di quello Spirito Santo che abbiamo contemplato all’opera nella prima Lettura, mentre scendeva su coloro che ascoltavano la Parola di Pietro. C’è una comunità, un’ecclesìa che accoglie il dono dello Spirito e i doni che lo Spirito stesso elargisce: una comunità all’ascolto della Parola. Anche stasera è così, in questa peculiare “Cattedrale” che ha come volta il cielo e come mura le «pietre vive» (1Pt 2,5) della Chiesa: di questa Chiesa di Rossano-Cariati, della Chiesa di Oppido-Palmi, della Chiesa di Calabria e della Chiesa universale.   Saluto e ringrazio tutti dal profondo del cuore. Prima di tutto i confratelli vescovi delle Chiese calabresi, e lo faccio nella persona del presidente della Conferenza Episcopale Calabrese Mons. Vittorio Mondello. Saluto l’Arcivescovo Metropolita di Cosenza, Mons. Salvatore Nunnari di cui Rossano è diocesi suffraganea. Saluto gli altri confratelli vescovi presenti a questa celebrazione e P. Bernard Lorent, abate dell’abbazia di Maredsous in Belgio. Permettetemi un saluto e un augurio speciale per il carissimo mons. Donato Oliverio, da ieri vescovo eletto della vicina Eparchia di Lungro. Saluto i tanti sacerdoti e diaconi che si sono voluti unire a questa Solenne Celebrazione; tra loro, molti sono stati formati da monsignor Milito, negli anni del suo ministero come rettore del Seminario di Catanzaro e poi, ancora, attraverso l’insegnamento e la guida spirituale. Saluto il Sig. Prefetto di Cosenza, il sig. Sindaco di Rossano e tutte le altre autorità civili e militari, la cui presenza, oltre all’affetto e alla stima per monsignor Milito, testimonia come la consacrazione episcopale e ogni ministero ecclesiale siano un segno e abbiano un significato anche per la città dell’uomo, nella quale e per la quale il cristiano vive. Saluto la famiglia di don Franco: una famiglia speciale, profondamente unita con vincoli di carne e legami interiori. Saluto con particolare affetto i carissimi fratelli provenienti dalla diocesi di Oppido-Palmi: presbiteri, diaconi, consacrati e tutti i fedeli, i quali già pregustano la paternità del loro vescovo e, da figli, sono qui ad accoglierla con gioia, consapevoli che il dono dell’episcopato di don Franco è per la loro Chiesa ma, allo stesso tempo, è attraverso questa Chiesa che tale dono è da lui ricevuto. E saluto con grande affetto tutti i presenti, i religiosi e le religiose, i fedeli laici soprattutto delle aggregazioni laicali, con speciale ricordo per coloro che non sono qui perché impediti, in modo particolare, dalla sofferenza e dalla malattia. Infine, saluto e ringrazio dal profondo del cuore te, carissimo don Franco, ringraziando il Signore per la tua chiamata all’episcopato, alla pienezza di quel sacerdozio nel quale hai incondizionatamente donato la tua vita per Lui e per la Sua Chiesa. Assieme a tanti altri - vescovi, presbiteri e laici -, io sono testimone e destinatario del dono che sei stato per questa Chiesa e questo rende ragione della commozione, della gioia, della preghiera che tutti noi oggi viviamo.   «Dio è amore» La stupenda Parola che oggi è stata proclamata e che, come dicevo, disegna il volto della tua nuova chiamata, ci ha offerto espressioni tra le più belle del Vangelo e dello stesso alfabeto umano: belle perché gravide di promesse di Dio, per te e per coloro ai quali Egli ti invia. Vita, gioia, amicizia, servizio, elezione, fedeltà, giustizia, esultanza… soprattutto, amore: come sostantivo o come verbo, la parola «amore» risuona per ben 21 volte nelle Letture di oggi! E tutto ruota attorno a un cuore che è il cuore di tutto il Vangelo: «Dio è amore» (1 Gv 4,8), Deus Caritas Est. È da questo Amore che sgorga tutto quanto accade, tutto quanto oggi accade. È di questo Amore che tu, don Franco, diventi in modo speciale ministro. È questo Amore che ti fa vescovo. È il Vangelo di questa VI domenica di Pasqua: «Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9). Come gli esegeti osservano, questo versetto non è tanto l’inizio del brano evangelico quanto la conclusione del passo precedente, la parabola della vite (Gv 15,1-8). Bisogna rimanere nell’amore, così come i tralci devono rimanere nella vite, per dare frutti; d’altra parte, «il fruttificare si rivela nel profondo come amore. Il frutto del discepolato di Gesù nasce sul terreno dell’amore, come dono dell’amore di Gesù, e in sostanza è esso stesso amore, come ha mostrato e comprovato Gesù»[1]. La Parola di Dio individua alcuni aspetti di questo amore. -         C’è il “prima” dell’amore: «Non siamo stati noi ad amare Dio ma è Lui che ha amato noi» (1Gv 4,10). L’amore è esperienza che ci precede, ci segna, ci identifica. -         C’è, poi, il “comando” dell’amore: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 15,12). Più che di un imperativo morale si tratta, potremmo dire, di un comando ontologico; di un “dover essere” che ci fa “essere” ciò che “siamo”. -         C’è il “come” dell’amore: «Come il Padre ha amato me così anch’io ho amato voi… Amatevi come io ho amato voi» (Gv 15,12.17). Il “come” non ci scoraggia per la grandezza del modello da imitare, ma ci consola perché Colui che ci chiede amore è Colui che dona amore, che si fa dono d’amore. Per questo, non c’è altro modo di amare se non in Lui. -         E c’è, infine, la “misura” dell’amore: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13). «Per ogni vita il Buon Pastore ha dato la vita – scrive Giovanni Paolo II -. Proprio questa è la responsabilità del vescovo: egli deve sapere che suo compito è far sì che nella Chiesa possa emergere e si possa sviluppare ogni vocazione, ogni elezione dell’uomo da parte di Cristo, anche la più piccola»[2]. In tale amore ogni discepolo è chiamato a «rimanere»: sì perché l’amore, sia pure dinamico, dice stabilità. Don Franco carissimo, tu hai scelto questa stabilità: amore – caritas – è, infatti, la prima parola del tuo motto episcopale. Un motto che, come sappiamo, è il programma di vita che il vescovo accoglie dalle indicazioni di Dio e che tu hai voluto rendere con tre espressioni dense di significato: «caritas, veritas, unitas». Sono parole che oggi ritroviamo tutte nella Liturgia e che, in un certo senso, richiamano i cosiddetti “tria munera”, i tre doni speciali che lo Spirito elargisce, e dunque i compiti che affida, ai Pastori della Chiesa di Cristo: «santificare, insegnare, governare».   Caritas: il dono di santificare «L’amore è da Dio» (1Gv 4,7), dice Giovanni. Ed è questo amore che il vescovo porta nel mondo. Colpisce quanto, al riguardo, scrive Giovanni Paolo II nella Pastores Gregis: «Sant’Agostino definisce la totalità di questo ministero episcopale come amoris officium. Questo dona la certezza che mai, nella Chiesa, verrà meno la carità pastorale di Cristo»[3]. Un orizzonte di eternità fa da sottofondo alla “carità pastorale” del vescovo, che è l’amore stesso di Gesù Buon Pastore. Un amore che santifica, che raggiunge nell’intimo ogni cuore umano, in modo speciale attraverso i sacramenti della Chiesa, amministrati per la grazia santificante del ministero episcopale. Che bello: la carità pastorale di Cristo non verrà mai meno! E, questo, anche grazie a te. Penso a come la bellezza dell’amore e della santità di Dio potrà inondare, attraverso le tue mani, i fedeli della tua diocesi: la vita dei presbiteri e dei ministri ordinati, dei consacrati e delle famiglie, dei giovani e dei bambini, di tanti, tanti sofferenti. Nella sfida posta da un materialismo sfrenato, da un mondo disorientato anche a motivo di quella crisi economica che fa emergere prepotentemente l’inganno di una società basata sul consumismo, noi vescovi siamo chiamati a richiamare e a portare, prima di tutto, il mistero della santità che cambia la storia personale e universale. «Alzati, anche io sono un uomo!» (At 10,26), esclama Pietro dinanzi a Cornelio. E questo versetto rimanda all’Apocalisse, quando a Giovanni, caduto in ginocchio dinanzi a lui, l’angelo ricorda: «È Dio che devi adorare» (Ap 19,10). Anche l’uomo del nostro tempo ha bisogno di adorare Dio! E ha bisogno di imparare questa adorazione lasciandosi ammaestrare dall’amore stesso elargitogli dal Signore nei sacramenti della Chiesa. L’attitudine dell’adorazione è nel nostro DNA di persone e sprigiona una nostalgia di santità spesso indecifrabile; tuttavia, se l’uomo non impara l’adorazione di Dio, rischia di rivolgersi a idoli falsi che stravolgono la vita del singolo e della comunità.   Veritas: il dono di insegnare Ecco, dunque, l’altra parola del tuo motto: veritas, verità. «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (Gv 15,10), abbiamo ascoltato dal Vangelo. L’uomo ha bisogno di obbedire alla verità per vivere l’amore e di tale verità il vescovo è ministro, in particolare con il suo compito di insegnare. All’umile servizio alla verità, caro don Franco, tu hai già consacrato in modo peculiare il tuo sacerdozio, consapevole che è questa l’arma per vincere il relativismo che affligge e riempie di non senso il tempo presente; esercitando il ministero della cultura in varie forme, hai saputo parlare a uomini di diversa formazione e provenienza, sensibilità e tradizione, preparazione e professionalità, consapevole che la trasmissione della fede assume i linguaggi umani per annunciare la Parola di Dio e sa usare strumenti attuali per valorizzare la storia. È significativo che la tua consacrazione episcopale avvenga mentre la Chiesa universale si avvicina ad aprire quella «porta della fede» che a breve ci introdurrà nell’Anno della fede e che, come scrive Benedetto XVI nella sua Lettera Apostolica, è sempre aperta e la cui soglia può essere oltrepassata «quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma»[4]. «Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Si tratta di aiutare a «conoscere»: un verbo che, come sappiamo, coinvolge non solo la ragione ma il cuore; entra, per così dire, negli spazi della ragione e poi li dilata, in un sapere che diventa un incontrare la Verità. «La conoscenza dei contenuti della fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa – continua il Papa -. La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio»[5]. È il cuore del dono di insegnare che il vescovo riceve e che lo colloca nella scia dell’unico Maestro, il Signore; è Lui che, come abbiamo cantato, «ha fatto conoscere la sua salvezza» (Salmo 97/98). Sì. La salvezza è l’intenzione originaria di Dio sulla creatura ed è l’urgenza che, certamente, già orienta il tuo cuore di vescovo verso i figli che Egli ti dona. «Vuoi prenderti cura, con amore di Padre, del popolo santo di Dio e con i presbiteri e i diaconi, tuoi collaboratori nel ministero, guidarlo sulla via della salvezza?», ti chiederò tra poco a nome della Chiesa. La conoscenza della salvezza si fonde con la cura, con la conoscenza delle tue pecore, sulle orme del Buon Pastore. Il vescovo deve lasciarsi conoscere e, allo stesso tempo, conoscere le persone; cercare, come scrive Giovanni Paolo II, «di essere vicino a loro, in modo da sapere come vivono, che cosa rallegra e che cosa turba i loro cuori. La base di tale conoscenza reciproca non è costituita tanto dagli incontri occasionali, quanto da un autentico interesse per ciò che avviene dentro il cuore dell’uomo, indipendentemente dall’età, dallo stato sociale o dalla nazionalità di ciascuno»[6]. Possano i tuoi fedeli sperimentare questa vicinanza, attraverso la quale sarai veramente maestro che insegna ma anche testimone che vive e pastore che guida!   Unitas: il dono di governare Il popolo, infatti, deve essere guidato, per questo al vescovo è affidato un terzo dono, quello di reggere e governare: un munus, un compito che è, assieme regale e pastorale. E a questo dono vorrei associare la terza parola che hai scelto nel motto episcopale: unitas, unità. La Parola di Dio oggi è intrisa di questo significato: c’è l’unità tra il Padre e il Figlio, tra il Cristo e noi, tra noi e il Padre. Ma tale unità diventa visibile, concreta, reale nel quotidiano della nostra vita solo a una condizione: l’unità tra fratelli. «Amatevi gli uni gli altri» (Gv 15,17), dice Gesù! Vorrei dirti un sincero grazie, don Franco, per come, anche in circostanze molto delicate, hai saputo vivere e custodire la fraternità presbiterale in questa Chiesa: una fraternità che, con preziosità di affetto e con accenti di pace, ti sostiene e accompagna in questo delicato passaggio della tua vita. Per essere fratelli, però, c’è bisogno di un padre. Ora sei tu chiamato a esercitare la paternità di vescovo, garanzia dell’unità della Chiesa. Unità che è, prima di tutto, richiesta al vescovo stesso: come il Concilio specifica, gli uffici di santificare, insegnare e governare, «per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col Capo e con le membra del Collegio»[7]. Il vescovo è parte di un “corpo”, in questa Concelebrazione ben visibile nella presenza di tanti confratelli vescovi che assieme invocheranno lo Spirito Santo e, con l’abbraccio di pace, simbolicamente ti accoglieranno nel collegio. Soprattutto, il servizio all’unità del vescovo si traduce in un peculiare “carisma di sintesi” nella Chiesa diocesana, sulla quale egli vigila: la parola greca epìscopos, ricorda Benedetto XVI, «indica uno che ha una visione dall’alto, uno che guarda con il cuore»[8]. È proprio così: l’altezza sulla quale il ministero episcopale ti colloca è la stessa profondità del cuore umano, dal quale tu guardi e al quale guardi. E, in questo sguardo di cuori, diventi ministro, cioè servo.   Servo e amico Il ministero, nel senso più letterale, è servizio. Scrive von Balthasar: «La grandezza della vocazione al sacerdozio esige dall’eletto la più piena dedizione di cui un uomo sia capace, e solo allorché egli ha dato tutto, ma realmente tutto, si potrà definire servo inutile, ma pur sempre utilizzabile»[9]. Allo stesso tempo, però, il ministero è carisma: come ha detto qualche tempo fa il Papa ai parroci di Roma, «non c’è questa contrapposizione: da una parte il ministero come una cosa giuridica, e dall’altra i carismi, come dono profetico, vivace, spirituale, come presenza dello Spirito e la sua novità. No! Proprio i ministeri sono dono del Risorto e articolazione della sua grazia; uno non può essere sacerdote senza essere carismatico. È un carisma essere sacerdote»[10]. Quello di servire, dunque, è carisma, un dono; d’altra parte, ogni dono è servizio. Ma tanto il dono quanto il servizio rimandano alla relazione con Cristo: in tal senso, il brano evangelico di oggi introduce una novità preziosa; aggiunge, potremmo dire, dono al dono. Lo fa utilizzando una parola che, come dicevo all’inizio, è una delle più dolci del Vangelo e dell’esperienza umana: amicizia! «Voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi… ma vi ho chiamato amici» (Gv 15,14-15). Osservando i comandamenti di Dio si diventa Suoi servi: e il vescovo, in questo senso, deve essere il primo servitore del Vangelo! Quando si diventa amico, però, si cessa di essere servo. «Che significa ciò?», si chiede Agostino meditando sulle parole di Giovanni; e risponde con una straordinaria intuizione: «Che affermazione stupefacente! Se non obbediamo ai comandamenti del Signore non possiamo servirlo; come possiamo, quindi, non  essere suoi servi, quando invece obbediamo ai suoi precetti? Se non sono servo obbedendo ai suoi comandamenti, e se non potrò servirlo se non obbedendo a tali comandamenti, significa che è nel servirlo che io cesso di essere suo servitore»[11].   Carissimi fratelli e sorelle, carissimo don Franco, è nel servirLo che tu non sei più servo! È nel servirLo che inizierà, ogni giorno, la novità stupenda e faticosa del tuo episcopato che ti fa amico di Gesù, amico dei figli di Dio, amico dell’umanità! E in questo servire, nel quale la tua libertà si incrocia con la libertà di Dio, esplode l’esperienza dell’amore che ti sigilla nell’appartenenza al Signore e alla Chiesa, Sua e tua Sposa. È quanto ti insegna e ci insegna Maria, «serva del Signore» (Lc 1,38): Colei, cioè, che “nel servire” diventa “Sua”. E cosa potresti chiedere di più al tuo ministero episcopale se non diventare sempre più “Suo”, sempre più “proprietà di Dio”? Sia Lei a insegnare e ottenere ogni giorno questa verità al tuo amore di sposo e pastore; sia Lei, la Vergine di Fatima - alla quale ti lega una devozione profonda e densa di significato e nella cui festa hai voluto avvenisse la tua Ordinazione - a prenderti per mano e a ispirare le tue scelte, a proteggerti dai pericoli e a consolare ogni afflizione, a illuminare i tuoi sorrisi e a nutrire la preghiera, con la quale non smetti di contemplare che «Dio è amore» (1Gv 4,8). Caro don Franco, questo amore disegni il volto del tuo episcopato mentre ti accompagna affettuoso, assieme al mio abbraccio grato e commosso, l’amore di questa Chiesa che ti è Madre e mentre ti accoglie, trepidante e festoso, l’amore della Chiesa che Dio ha voluto darti come Sposa. “Rimanendo” in questo amore, la gioia di Cristo sia in te e la tua gioia, come la tua vita, sia piena. E così sia!>>   Santo Marcianò   Saluto conclusivo al termine della Concelebrazione di Mosignor Francesco Milito, neo Vescovo di Oppido Mamertina – Palmi: <<1.  Una goccia di eternità è stata distillata dall’Alto in questo Vespro mirabile, che è ancora del giorno di Pasqua. Ha il colore iridescente della luce taborica ed il profumo della preghiera dei santi che la contemplano, celesti spettatori di quanto è avvenuto nella terra che fu loro temporanea dimora quaggiù e, perciò, si direbbe, più attenti degli altri della compagnia del Paradiso. Sono i membri più cari della famiglia di sangue: i premurosi nonni, gli amati genitori Angelo e Grazia, gli zii affettuosi, e della famiglia di fede: l’indimenticabile Arcivescovo del percorso formativo, lo zelante mons. Giovanni Rizzo, gli esemplari primi parroci dell’infanzia e della giovinezza, mons. Alfredo Filici e don Ciccio Cicala, compagni al “Pio X” di Catanzaro, del Venerabile Servo di Dio don Francesco Mottola, della figura buona di don Muzio Montalti, degli educatori e dei docenti dei Seminari Diocesano e Regionale, delle mistiche rossanesi, dei benefattori e di ha  sostenuto con il silenzio, la preghiera e la sofferenza il mio ministero presbiterale.   2.       A tal eletta schiera i cui nomi, - come avveniva nei monasteri medievali, registrati nel Libro della vita -, sarebbe bello ricordare, se la rievocazione non rischiasse l’incompletezza, fan da corona altri: Voi, la cui presenza così folta e devota ha reso questo Stadio una basilica all’aperto dove la distribuzione negli spazi dice non già distinzioni di privilegio ma molteplicità di provenienza e varietà di ruoli. All’Ecc.mo Episcopato che, attraverso l’antico e mistagogico gesto della Chirotonia – l’imposizione delle mani – ha reso possibile e reale la mia incorporazione nel collegio e nella successione degli Apostoli, i più vivi sentimenti di piena comunione anzitutto per i Vescovi Consacranti con ognuno dei quali sento di avere un rapporto particolare: mons. Vittorio Mondello, Presidente della Conferenza Episcopale Calabra per la collaborazione avuta negli ultimi anni circa l’ordinamento dell’Archivio della stessa; mons Luciano Bux, attento e accogliente dal primo istante della nomina a suo successore; mons. Salvatore Nunnari, che mi ha con calore dimostrato crescente e fattiva stima; mons. Antonio Cantisani che quattro decenni fa – si compiranno tra poco meno di un mese, il 12 agosto – mi ha generato, primo dei preti da lui ordinati. Un rapporto speciale mi lega agli arcivescovi di Rossano che mi hanno sempre sostenuto con il loro esempio, il loro consiglio, la stima e l’affetto: mons. Serafino Sprovieri, il compianto mons. Andrea Cassone, mons. Santo Marcianò, celebrante principale di questa solenne Concelebrazione. La presenza di s.e. mons. Giovanni Marra, attualmente Amministratore Apostolico di Orvieto-Todi, è per me particolarmente gradita, non solo perché – come lui ama definirsi – “antico figlio” della Diocesi di Oppido-Palmi, ma per avermi introdotto ad una esperienza unica con il servizio in tre fecondissimi anni a servizio della Santa Sede in Segreteria di Stato. Su di un piano parimenti caro – ed ognuno di loro ne sa il perché – un saluto affettuoso ai Vescovi nativi della nostra Diocesi: mons. Antonio Lucibello, Nunzio Apostolico in Turchia, venuto appositamente per questo evento di grazia; mons. Antonio Ciliberti, nostro dinamico Vice Rettore a Rossano; mons. Domenico Graziani, maestro di Gregoriano e di Polifonia negli anni di Liceo e di Teologia; mons. Luigi Renzo, compagno di seminario per quasi tutti gli anni dell’iter formativo dalle scuole medie alla Teologia; mons. Luigi Cantafora e mons. Leonardo Bonanno, anch’essi colleghi al Seminario Maggiore. Sul piano, ma non solo, della devozione che nutro per san Francesco di Paola, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, suo degnissimo successore; della vicinanza limitrofa a Rossano, prima di mons. Vincenzo Bertolone, ora mons. Nunzio Galantino, al quale mi accomuna – come già fino a pochi mesi fa l’esperienza accademica – la quasi simultanea partenza per l’avventura episcopale. Le radici con l’Oriente cristiano di Rossano bizantina e di Lungro albanofona qui rappresentata dall’Eparca emerito, mons. Ercole Lupinacci, e ora, dal neo nominato successore, l’Archimandrita Donato Oliverio, l’abbiamo colta nella proclamazione del Vangelo in greco. Ai Vescovi emeriti della Calabria, impossibilitati ma vicini spiritualmente come mi hanno assicurato per telefono, un deferente pensiero di ossequio. Altri confratelli venuti dall’Italia e dall’Estero arricchiscono significativamente quest’ora di grazia: mons. Fabio Bernardo D’Onorio, Arcivescovo di Gaeta – l’ultimo lungo approdo di san Nilo, prima di Grottaferrata – mons. Gianfranco Todisco, Vescovo di Melfi-Rapolla-Venosa, figlio del Servo di Dio il Decano Gaetano Mauro, del quale proprio di recente si è chiuso il processo diocesano informativo di Beatificazione e Canonizzazione. Anche l’Europa è presente con il rev.mo P. Bernard, Abate del Monastero del Beato Columbia Marmion di Maresdous in Belgio, che ci ha guidato negli Esercizi Spirituali nell’ottobre del 2011: contiamo di restituirgli la visita per un’immersione nel silenzio e nel canto orante della sua Abbazia. I segni di fraternità, avuti da ognuno di loro sin dall’atto della nomina, si sono manifestati nel gesto più alto e vincolante del Sacramento conferito. Vivissimo, perciò, è il mio ringraziamento e colmo di gioia per la fraternità dimostrata all’ultimo tra i loro confratelli. È evidente, tuttavia, che la venerazione e la gratitudine più grande vanno al Santo Padre Benedetto XVI, il cui suggello ultimo nel discernimento per l’elezione all’episcopato è stato conferma rasserenante della mano e della volontà del Signore su tutto il progetto: a lui, guida sicura e corroborante della Chiesa nel nostro tempo, la piena riconfermata obbedienza e filiale adesione.   3.       Sarei, però, un inescusabile “clericale” se dimenticassi in questo momento il mondo del laicato, laboratorio e fucina di tanti percorsi impegnativi ma fecondi, in tanti decenni. Basterà solo ricordarne le sigle e ognuno dei membri sentirà scattare dentro una serie lunga e forte di ricordi: nel mondo dell’associazionismo professionale: U.C.I.I.M., l’A.M.C.I., l’A.I.M.C., l’U.G.C.I., l’U.C.A.I., il M.E.I.C. regionale; nell’entusiasmante complesso pianeta del Progetto culturale – in permanente collaborazione con il Servizio Nazionale e il Pontificio Consiglio della cultura – i maestri di eccellenza per il Centro Culturale Cattolico “Il lievito”, e gli Uffici della CEI: per le comunicazioni sociali, per i problemi sociali e il lavoro, per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso; i Corsi di Iconografia, i Corsi per Animatori della Comunicazione e della Cultura. I Betlemiti e i membri del Comitato per Sibari Provincia, sono stati anch’essi un terreno fecondo di collaborazione nel sociale; nel campo culturale: L’I.R.A.C.E.B., la Roscianum e l’Università Popolare. Quante collaborazioni, quanta fatica, quanto lente ma sicure conquiste! Un saluto anche ai rappresentanti del mondo accademico: le Facoltà Teologiche dell’Italia Meridionale, Pugliese, Siciliana, e delle Università Statali di Napoli, Salerno, Bari, Potenza, della Calabria e ai Centri di Ricerca e di Studio: gli Archivi centrali della Santa Sede e della Chiesa in Italia. Il mondo della Vita Consacrata e della società di Vita Apostolica affiora nell’animo per i ritiri mensili e gli esercizi spirituali. Penso all’Istituzione Teresiana e ai Movimenti da essa animati, alla Famiglia Oblata del Sacro Cuore di don Mottola nei suoi tre rami, e all’Istituto delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore. Chissà se nell’iter per il nuovo Vescovo, maturato nell’anno Centenario della morte della Venerabile Serva di Dio Madre Isabella De Rosis, non ci sia anche il suo nascosto interessamento: se così fosse, non sono sicuro che ciò venga registrato come miracolo per la sua Beatificazione…! Le sue figlie sono le prime religiose che ho conosciuto da bambino e sempre mi hanno edificato per i gesti materni e di pietà, nonché il promettente gruppo delle Associate siano sicure dell’interessamento per loro.   4.       Intenso il mio pensiero si rivolge ora a Voi, popolo di Dio di Rossano e di Oppido. Dall’annunzio che un suo figlio era stato eletto all’episcopato, dopo 167 anni, la città – fino ad oggi - è stata attraversata da un’atmosfera magica ritenendo un grande onore l’evento, e la partecipazione massiccia è conferma evidente della sincerità di quei sentimenti ora manifestati in forma pubblica e corale. Le espressioni augurali, ricevute, carissimi rossanesi, tutte indistintamente, in termini superlativi e convergenti su considerazioni a me completamente nuove e sorprendenti, mi hanno avvolto come una fascia calda di affetti e di profumo di bontà. Non riesco, ancora, a capacitarmi se è proprio vero quanto mi avete detto e scritto: se così fosse, mi sento svelato di un peso da non deludere. “Gioia per la nomina, dolore per la perdita” è stato il ritornello negli incontri e nei colloqui avuti. Vero, per voi, ma anche per me. Non si perde, tuttavia, chi coltiva di mantenere i rapporti belli, pur nei modi di nuove situazioni. A Rossano, quando possibile, ritornerò. Voi verrete nella mia Diocesi? Trovatene i motivi, attivatevi e così le distanze si riducono. C’è sempre da imparare a contatto con altri mondi che non siano quelli dei consueti orizzonti giornalieri. Ve lo assicuro – perché lo vado scoprendo ogni giorno con ammirazione – la Diocesi di Oppido-Palmi, per il solido cammino compiuto, ha tanto da ispirare alla Chiesa di Calabria. Oppido-Palmi, per i numerosi messaggi di auspicio, che ininterrottamente per posta e per telefono continuano a pervenirmi e, soprattutto, i cordiali incontri in queste prime settimane, quasi quotidiani, con sacerdoti, laici o Delegazioni, - come quella Diocesana e dell’Amministrazione Comunale di Oppido, alle quali rinnovo il mio “grazie” per l’atto squisito andato ben oltre le formalità istituzionali e accompagnato da quei segni che rivelano il senso forte dell’ospitalità della gente di Calabria – si pongono anch’essi sulla stessa calorosa linea.   5.       Se a Rossano, infatti, la notizia della nomina è arrivata forse imprevista nella Messa del Crisma, a Oppido-Palmi s’era pregato tanto e intensamente. L’Annunziata ha ascoltato i suoi figli e gli ha ottenuto il Vescovo all’indomani della festa. So che la preghiera continua, modulata su nuove intenzioni e di ciò sono edificato. Credo di essere nel giusto se Vi confido che avverto forte quest’accredito orante acceso per me, per la serenità di fondo che provo in questi giorni così particolari, costellati da tanti pensieri pieni di trepidazione ma non di ansia. Se la pace interiore è dono dello Spirito, miei carissimi diocesani, me lo avete ottenuto come il più  prezioso e, spero, il più duraturo dei regali da oggi in poi.          So che la Chiesa di Oppido-Palmi ama il Vescovo e i sacerdoti, verso cui nutre rispetto e fiducia. Sappia che questa sera, con un’attenzione partita già da lontano, il nuovo Vescovo intende ricambiare sentimenti così radicati di fede con un’intensità che vorrebbe essere pari a quella di Gesù, Bel Pastore. Il motivo è profondo e reale: siete Voi, ora, la mia nuova famiglia. La Chiesa Madre di Rossano-Cariati mi consegna a Te, Chiesa Sposa. Porterò con me, come dote, l’eredità di fede e di carità qui ricevuta. Concedimi la Tua, sorretta dalla sorella di mezzo, la speranza. Il matrimonio così sarà perfetto e la cura che avrò per presentarti ogni giorno al Signore sempre più bella e più santa, senza rughe né sciatterie, farà della nostra famiglia una comunità fedele all’Alleanza Nuova. Voi – noi – lo comprendiamo bene. Ogni provvisione di Diocesi è come un matrimonio “combinato”, ma quanto diverso da quelli costruiti per motivi d’interessi privatistici! A portare a maturazione l’incontro tra i futuri sposi – il Vescovo e una Chiesa – si adoperano certamente mediatori umani, con qualcuno anche che ci prova – talora – per farlo fallire o prima o dopo. A metterli insieme, tuttavia, gli sposi e celebrarne il matrimonio resta lo Spirito Santo. Siamo in uno stadio, e vien da pensare che nelle vicende della Chiesa, c’è chi s’affanna per vincere le partite, ma lo scudetto, poi, se lo porta a casa Lui, il Signore. Ciò è garanzia solidissima della sua validità e fecondità. Tutto ciò è stato solennemente assunto davanti alla comunità, con l’interrogatorio sulle promesse, con la consegna dell’anello: segni chiari della paternità e maternità responsabile a cui il Vescovo è chiamato.   6.       A testimoni di questo matrimonio e, quindi, parimenti garantiti della sua riuscita, – fra i presenti ve ne sono di più vicini al Vescovo sposo. Mi riferisco alla folta schiera dei confratelli del Presbiterio rossanese. In particolar modo mi rivolgo al gruppetto che con intelligenza ed entusiasmo tanto si è adoperato per la migliore organizzazione di questa Celebrazione: li ringrazio vivamente, come anche gli altri che, con tanti segni, in questi giorni mi hanno dimostrato la loro vicinanza. Pur diventando padre di un altro Presbiterio, non per questo si allenta il legame con loro. Auspico, anzi, che con la guida dell’Arcivescovo, scambiandoci in forme concordate e mirate visite di reciproca conoscenza e di edificazione per l’esperienza pastorale, possa intensificarsi. Vi attendiamo: ad Oppido-Palmi vi sono molte dimore e si trova sempre un posto per Voi.   7.       C’è un’altra corona Sacerdotale che rende corale oggi e visibile la Chiesa di Calabria: sono i tantissimi sacerdoti, anzitutto i colleghi di Corso Liceale e di Teologia, i Superiori e gli alunni del Pontificio Seminario Regionale “S. Pio X” di Catanzaro, nonché la compatta schiera degli ex – ormai con ruoli di frontiera nella vita civile della nazione – il cui appuntamento annuale è diventato un’occasione gioiosa per rinverdire i ricordi degli anni giovanili. Associo a loro s.e. mons. Antonio Staglianò, Direttore dell’Istituto Teologico ed ora Vescovo di Noto in Sicilia. Lì si è confermata la veridicità della mia vocazione, con l’accompagnamento vigile e autorevole di solidi Educatori, fonti di riferimento nel corso della vita. Lì, in un tirocinio di lavoro duro e carico di responsabilità su spalle ancora giovani, il Signore mi ha posto la croce, ma anche concesso la gioia di accompagnare al Sacerdozio suoi eletti per la Chiesa di Calabria. Lì la serena e stimolante amicizia con i colleghi docenti ha permesso di offrire il meglio del nostro sapere, delle buone intenzioni e delle cure verso i fratelli più giovani. Lì con gli studenti tutti – candidati al Sacerdozio, religiosi e religiose, laici – nella vivacità di quelle metodologie didattiche che la funzione docente suggerisce, abbiamo esplorato le vicende della Chiesa nella storia, ritenendola storia di famiglia e appassionandoci ai suoi trascorsi perché il futuro fosse più santo e purificato del passato. Mi sono chiesto in questi giorni: è proprio un caso che nell’Anno Centenario del nostro Seminario, un suo alunno, Superiore e docente entri nel Collegio dei Vescovi? Non è forse ancora un frutto posteriore della grande e provvidente intuizione di un papa Santo che voleva un clero santo all’altezza dei tempi per la Calabria, che egli tanto amava e che fa di lui – accanto a San Francesco di Paola, san Nilo e san Bartolomeo – un altro compatrono? Anche la genealogia episcopale che m’interessa, significativamente da oggi attraverso alcuni consacranti mi riporta direttamente a S. Pio X. Accanto a questa Comunità desidero mettere gli altri due Seminari Maggiori: il “Pio XI” di Reggio Calabria, per imprevedibile coincidenza – che solo la fantasia divina sa provocare –, nei giorni immediatamente precedenti alla pubblicazione della nomina, con me inconsapevole cenacolo di preghiera negli Esercizi Spirituali a Sant’Elia di Palmi, e il Seminario Cosentino della Sede Metropolitana. Negli ultimi anni ho avuto modo di conoscere quanta cura anima i loro Superiori – che saluto fraternamente. Scambiamoci la vicinanza e la preghiera: per tutti i futuri pastori di Calabria Oppido-Palmi resta casa aperta veniteci a trovare, sentitela come Vostra casa comune. Se in questi ricordi fugaci qualcuno si sentisse dimenticato, recuperi subito al pensiero che nessuno s’è voluto escludere. A dimostrazione di tale sincerità vorrei compiere un gesto che non posso realizzare: scendere e abbracciarvi uno per uno indistintamente: ma ce la faremmo per domani alla stessa ora? Allora: un grande abbraccio ampio quanto il colonnato di Piazza San Pietro. Anche le presenze invisibili meritano un saluto da lontano. Sono le Monache Agostiniane e le Clarisse di Rossano, le Carmelitane di Capocolonna, le sorelle del Monastero della Visitazione di Santa Maria di Taurianova e della Piccola Comunità dell’Annunziata di Bonifati: hanno pregato e stanno pregando con noi.   8.       Prima di congedarci, rendete piena e continua la festa odierna con l’accoglienza di alcune proposte. Sono come due reti gettate nel mare della Diocesi di Oppido-Palmi, una da tirare subito a riva, l’altra tra qualche mese. Abbiamo parlato di matrimonio, di famiglia: saranno, insieme con l’universo dei giovani, tra i primi ambiti privilegiati della nostra azione pastorale. Desidero per questo porre subito un segno: chiedo ai parroci della diocesi di portarmi al primo incontro di clero, giovedì 5 luglio a Oppido, l’elenco di tutti i bambini nati nei giorni per me ormai legati all’evento nuziale: il 27 e il 28 di marzo, il 4 di aprile, oggi 13 maggio, ed il 30 giugno prossimo e di chi in tali giorni ha ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana e delle coppie che si sono sposati in Chiesa. Li considero il primo drappello scelto con cui ritrovarci ogni anno, in una data espressiva, per aiutarli a crescere bene muovendo dall’aver partenze comuni e verificare il progresso nell’amore del Signore. E perché, nel considerare quanto bene vogliamo alla Madre sua, il Figlio gioisca, e Lei ci guardi con occhi di bontà per l’amore che portiamo al Figlio, l’invito quest’anno nei giorni della Solennità dell’Immacolata a ritrovarci quest’anno a Fatima nei giorni della Solennità dell’Immacolata: sarà il primo grande pellegrinaggio diocesano per andare a far visita nel corso dell’Anno della Fede a Lei che ne è Maestra Eccelsa, ringraziarla di questo giorno scelto da Lei per l’inizio di un messaggio d’amore per le sorti del mondo nel XX secolo e oltre e scelto per affidarLe, il mio episcopato e la diocesi di Oppido-Palmi, che è tutta mariana, ed implorare un’efficace radicale conversione interiore ed implorare un’efficace e radicale conversione per il rispetto della vita umana, sempre, nella nostra zona. Chiedo alla Beata Vergine Maria che, come un giorno al pastorello Francesco, rivelò pensieri di cielo per la salvezza dei fratelli, illumini e sostenga un altro Francesco, oggi costituito pastore del gregge di Suo Figlio in Oppido-Palmi, perché come Lui ne abbia cura grande, sollecita e totale fino al compimento del suo mandato. L’Achiropita-Annunziata, vigili sul buon rientro a casa di tutti. Arrivederci ancora più numerosi a Oppido il 30 giugno. Amen. Alleluia>>.   Stemma di Mons. Francesco Milito Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi   Descrizione araldica   Interzato incappato alzato: d’azzurro, a due lampade paleocristiane, al naturale, controappuntate in fascia, accese di un’unica fiamma di rosso, sormontanti un mare del primo, ondato d’argento, movente dalla punta; la cappa destra d’oro, alla stella di sette raggi d’azzurro; la cappa sinistra di rosso, al chrismon d’oro, accostato dalla lettere greche A e ω dello stesso. Motto: CARITAS VERITAS UNITAS.   Descrizione teologica   Le parole del motto Caritas Veritas Unitas comprendono i valori ai quali il Vescovo intende ispirare il suo ministero e aiutano a comprendere il significato delle figure riportate nello Stemma.   La Caritas è l’essenza della Rivelazione cristiana in quanto definisce l’essenza e la natura di Dio, rivelata e resa manifesta nel Figlio, Gesù Cristo. Niente si è, nulla si dà se la Caritas non informa il pensare e l’agire dei credenti. Essa pervade la vita umana, da quando nel Battesimo è infusa come dono di forza teologale, fino all’ultimo respiro che chiude l’esistenza terrena per aprirla, sottraendola al tempo – in cui la Caritas conosce fatica, sosta, oblio, rinnegamento – a quella eterna della contemplazione divina. Paolo l’ha spiegato con chiarezza lapidaria, quasi primo commento esegetico del Discorso escatologico di Gesù.   Particolarmente il Vescovo è inserito in tale circuito di fede operativa e la carità pastorale, affettiva ed effettiva, è richiesta dal suo servizio di servo-pastore, successore degli Apostoli, sposato a una Chiesa, locale ma ordinato per la Chiesa universale. In ciò trova sintesi ed unità la sua dimensione originaria di laico – cioè di appartenente nativo al popolo dell’Alleanza –, e di consacrato – nella pienezza del sacramento dell’Ordine.   La Veritas è l’anelito profondo di ogni uomo, pellegrino nel tempo sui sentieri dell’essere. È irto aspro faticoso il cammino verso la verità vera, quella che serve da sintesi unificante nella dispersione globale dell’esistenza, e quella ordinaria quotidiana, che serve per gli aspetti parziali. Se ne deduce, secondo una mentalità condivisa, che non esiste la Verità, ma verità, parziali di uso e consumo funzionali ai bisogni, quale che sia la loro motrice. Si finisce così in una frantumazione del sapere che diventa frammentazione dei saperi in un relativismo logico ed etico che annulla ogni possibilità di ipotesi alternativa. La storia del pensiero nelle forme, attraverso le quali l’uomo si è espresso nell’arte, nella letteratura, nel teatro, nel cinema, nella ricerca scientifica altro non è nelle profondità più remote, pur se inconfessate, che ricerca della Verità. Occorre fare e portare luce nelle nebbie della mente e del cuore verso il suo pieno splendore. Per i cristiani essa non è un sistema, ha un nome, è una persona: Gesù Cristo, Via al Padre, Verità/luce per chi lo accoglie senza pregiudizi, Vita che sostiene le vite. Il Vescovo è chiamato ad essere guida sicura verso questa Verità, in quanto discepolo del suo Maestro.   L’Unitas è il collante invisibile nell’armonia del creato che risponde ad un ordine stupefacente e perfetto, sempre da scoprire e da armonizzare, ma anche lo scoglio in cui i rapporti umani ed ecclesiali si incagliano, spesso con urti violenti e danni ritenuti irreparabili. È la sfida più ardua da affrontare quando l’individuo non si percepisce come persona, né guarda la comunità come famiglia di persone, esseri simili a sé, immagini moltiplicate dell’unica immagine prototipa di Dio. Dissolta dimenticata negata tale origine trascendente, ogni prevaricazione è possibile lecita devastante. Per questo Gesù nell’ultima sera della sua vita ne ha rivolto accorata preghiera al Padre, appellandosi al vincolo di unità con Lui come Figlio e con lo Spirito Paraclito. Per questo la tentazione più grave nella Chiesa e nei rapporti umani è la rottura dell’unità e l’azione virtuosa più attenta è la ricomposizione attraverso il dialogo, la pazienza, la conquista finale e duratura. Il Vescovo trova in ciò uno dei compiti più difficili del suo servizio, quando ci si attesta su posizioni di difesa, arroccamenti di pretese intoccabili, mancanza o perdita del senso del limite e dell’apertura all’inedito nuovo di Dio. Egli non ha l’insieme dei carismi, ma il carisma dell’insieme. Non è l’unico, ma il primo e l’ultimo a interpretare con autorevolezza il disegno di Dio, in obbedienza di discernimento comunitario, come la Chiesa nascente e la prassi collegiale che ne è derivata.   Le figure nello Stemma vogliono visibilmente tradurre questi principi. L’olio della Caritas e quello della Veritas, profluenti dalle due lampade, si incontrano in un beccuccio unico – quasi un’attrazione che li fonde, – alimentando la fiamma unica, quella d’Unitas. Ne viene riscaldato e illuminato il mondo che in Cristo, Signore della Storia, come principio e fine, ieri, oggi e sempre, tale è divenuto per il sacrificio della vita e della morte offerte al Padre, e in Maria, Madre sua e della Chiesa, la stella che risplende nel firmamento dei Santi come riflesso dell’increata luce divina.   Tutto ciò si snoda e scorre nel tempo: le onde del mare ne indicano il fluire delle fasi. Ma questo tempo è anche geografico, per cui il mare richiama l’azzurro profondo dell’Ionio, da cui proviene il Vescovo, solcato dai popoli dell’Oriente nell’approdo in terra di Calabria, e quello, tavolozza di colori, il Tirreno, bacino della civiltà occidentale, che lambisce la Diocesi alla quale il Santo Padre l’ha destinato. Anche l’olio, invisibile nelle lampade, contiene un simbolismo chiaro: la distesa degli uliveti delle campagne di Rossano e della Piana. Frutto della terra e di duro lavoro dell’uomo nei secoli, quel prodotto così prezioso è cantato nella Bibbia e nella Messa Crismale elevato a materia sacramentale.   Il Vescovo è stato ufficialmente annunziato in tale Messa quest’anno e con l’olio, allora benedetto dal suo Ordinario, il 13 maggio viene consacrato definitivamente a servizio della Chiesa e del Mondo. Tutto è tenuto dall’alto in basso – come un’asta pastorale – dalla croce trifogliata con le cinque gemme simboleggianti le cinque piaghe di Cristo. In esse c’è rifugio e salvezza, scrigno e scoperta della Caritas Veritas Unitas, nomi della Trinità di Dio Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo a cui motto e simboli rimandano come a fondamento per la Nuova Evangelizzazione, scenario e nome moderno del ministero pastorale di un futuro già presente ed esigente. [1] Rudolf Schnackenburg in Commentario Teologico al Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni. Parte terza. Paideia, Brescia 1981, p. 168 [2] Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!. Mondadori, Milano 2004, p. 33 [3] Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post Sinodale Pastores Gregis, n. 9 [4] Benedetto XVI, Lettera Apostolica Porta Fidei, n. 1 [5] Ibidem, n. 10 [6] Giovanni Paolo II, Alzatevi, andiamo!. Mondadori, Milano 2004, p. 55 [7] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium, n. 21 [8] Benedetto XVI, Gli apostoli. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2008, p. 50 [9] Hans Hurs von Balthasar, Gli stati di vita del cristiano. Jaca Book, Milano 1995, p. 238 [10] Benedetto XVI, Lectio Divina con i parroci di Roma, 3 febbraio 2012 [11] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni. Omelia 85

di Redazione | 14/05/2012

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