We're sorry but our site requires JavaScript.

 


Corigliano Calabro (Cosenza) - “L’impegno politico dei cattolici nell’attuale momento storico” è stato il tema trattato in un convegno diocesano


di ANTONIO IAPICHINO - L’Arcidiocesi di Rossano – Cariati, guidata dall’Arcivescovo, monsignor Santo Marcianò, ha realizzato,  presso il Teatro Metropol di Corigliano Calabro, un interessante convegno sul tema: “L’impegno politico dei cattolici nell’attuale momento storico”. Si è dato il via ai lavori, coordinati dal prof. Vincenzo Bova, docente di Sociologia presso l’Università della Calabria, con l’introduzione da parte di monsignor Marcianò, quindi, si sono succedute le relazioni di Mons. Michele Pennini, Vescovo di Piazza Armerina, sul  tema: “Fede e impegno politico in Luigi Sturzo”, e il professor Luca Diotallevi, docente di Sociologia presso l’Università di Roma Tre, che ha trattato “L’impegno politico dei cattolici oggi”. Subito dopo si è aperto il dibattito la platea, che è risultato essere assolutamente vivo a arricchente. Oltre a diverse richieste di chiarimenti e delucidazioni ai relatori, sono emersi ulteriori considerazioni e contributi circa l’approfondimento dello studio di don Sturzo, il rapporto lavoro-bene comune, l’elemento educativo, il problema della laicità, l’invito ai cattolici in sede locale a dare il proprio apporto. A giudizio degli organizzatori erano presenti in sala circa 700 persone, fra cui sindaci, assessori comunali,  consiglieri, deputati, giornalisti, rappresentanti del mondo del lavoro, sindacati, associazioni di varie categorie, giovani, aggregazioni laicali. Tutti si sono ritrovati per quella che si è rivelata una efficace occasione di confronto. Di seguito la relazione introduttiva di monsignor Marcianò, quindi, una sintesi dell’intervento del professor Diotallevi e la relazione di Monsignor Pennisi: MONSIGNOR MARCIANO’: <<Carissimi,  è davvero con gioia e gratitudine che introduco questo incontro, da me tanto desiderato e auspicato e per il quale sono radunate qui tante personalità che voglio subito salutare. Saluto e ringrazio anzitutto i relatori: Sua Eccellenza Monsignor Pennisi, il quale ha già lavorato, questa mattina, con i sacerdoti della diocesi, in un aggiornamento che è stato per noi momento di grande crescita; saluto poi il professor Luca Diotallevi, docente presso l’Università Roma Tre e Vice Presidente delle Settimane Sociali dei cattolici italiani. Siamo davvero onorati di avere con noi questi ospiti e li accogliamo, come Chiesa e come comunità civile. Sì, perché questo incontro è stato pensato come un incontro comune; è il concretizzarsi di quell’invito che, poco più di un anno fa, avevo lanciato dalle pagine della mia Lettera Pastorale ad «una Riunione di tutti gli amministratori dei comuni della diocesi, per riflettere assieme, ciascuno nel rispetto dei propri ambiti, e cercare soluzioni idonee alle emergenze e priorità della nostra realtà locale>>. Ringrazio allora dal profondo del cuore quanti hanno voluto raccogliere questo invito e stasera sono qui presenti. Come pure ringrazio coloro che, impossibilitati a partecipare di persona, hanno comunque inviato un segno della loro condivisione e accoglienza dell’iniziativa. Nella sua semplicità, questo vuole essere un momento storico per la nostra diocesi. Sì, cari amici: la storia si scrive anche così, nel dare corpo ad iniziative nuove e coraggiose che mettano insieme l’esperienza di tutti e facciano tesoro della storia e delle tradizioni di tutti. Siamo nel tempo della sfida educativa: ed uno degli aspetti più entusiasmanti ed esigenti di tale sfida è proprio quello di saper attingere alla storia in modo non nostalgico ma sapienziale, affinché quella storia venga consegnata alle nuove generazioni come patrimonio capace di dire una parola che aiuti a vivere nell’oggi. La nostra Chiesa locale ha voluto in molte occasioni essere strumento attivo della vita socio politica, intervenendo nel dibattito pubblico – penso, ad esempio, a tanti interventi sul giornale diocesano –, in iniziative culturali di carattere politico – penso, ancora, ad alcuni importanti Convegni tenuti in diocesi, tra i quali ricordo con particolare interesse la celebrazione del 60° anniversario della Costituzione –, in servizi sociali che coadiuvano, e talora suppliscono, ai servizi pubblici sul territorio. uesta sera, però, vogliamo scrivere un pezzo di storia particolarmente importante della diocesi di Rossano, della sua realtà socio-politica: e lo facciamo anche con l’aiuto di una storia che, come Chiesa, sentiamo di dover ripercorrere e consegnare alla nostra società, in quanto patrimonio in cui è conservata una ricchezza preziosa e concreta per gli uomini del nostro tempo. La Chiesa Cattolica, cari amici, ha una storia che si intreccia e si deve intrecciare inevitabilmente con il mondo della politica: lo ricorderanno i nostri relatori, in particolare Monsignor Pennisi parlando di don Sturzo, una figura straordinaria che così profondamente ha inciso nella storia del nostro Paese. In nessun modo, però, questo intreccio tra storia della Chiesa e storia socio politica deve essere considerato come un’intrusione. Mi verrebbe di dire, anzi, che parallelamente a quell’impegno politico che, sempre più, i tempi che viviamo ci obbligano a considerare come uno degli ambiti preferenziali per l’esercizio della carità del cristiano – è il tema del libro «L’ultima chance», in cui il professor Diotallevi affronta specificamente il ruolo dei cattolici in politica -, così la società, guardata soprattutto dal versante dei responsabili della cosa pubblica, dovrebbe esigere questo impegno, valorizzare questo patrimonio. Sì: la società, intesa come Nazione ma anche come Amministrazioni locali, ha bisogno dell’impegno di tutti, dell’apporto di tutti, della storia di tutti per crescere. E proprio oggi, mentre si parla tanto di “crescita” per uscire dalla crisi economica, penso sia indispensabile considerare come tale crescita richieda ad ogni cittadino non solo la partecipazione fiscale, non solo i sacrifici economici, non solo l’adeguamento a nuovi criteri lavorativi … ma anche l’apporto originale della propria identità. Il mondo della politica ha bisogno della storia di tutti, quindi anche della storia della Chiesa, per disegnare quello che, con una suggestiva immagine, il cardinal Bagnasco qualche giorno fa ha definito il «profilo» della Nazione: quel profilo guardando il quale si intuisce il volto. E il volto della Nazione, specifica Bagnasco, «non è un assemblaggio di tanti volti individuali ma corrisponde ad una visione antropologica composta di principi e di valori». È proprio così: ogni Nazione, quindi anche la nostra Italia, ha un volto, contemplando il quale anche noi ritroviamo qualcosa della nostra identità e nel quale, per certi versi, anche noi ci ritroviamo. Ma anche la nostra realtà locale ha un volto. E così come noi siamo consapevoli di poter contribuire a scrivere la storia, allo stesso modo siamo convinti di poter collaborare a dare un volto alla nostra terra, disegnandone in parte il profilo. È un profilo del quale riconosciamo quei tratti presi dalle tradizioni più genuine della nostra gente, che il sapiente insegnamento evangelico ha sempre saputo rintracciare e suscitare nei cuori umani contribuendo storicamente, come ancora afferma Bagnasco, «a costruire l’anima dell’Italia prima ancora che l’Italia politica»[1]. Sono i tratti fatti di quei principi e valori per i quali e con i quali noi sentiamo di dover concretamente lottare. Da sempre, se ci pensiamo bene, il criterio della lotta ha animato l’agone della politica: dalla lotta di classe, alla lotta per la libertà, alle più recenti e spesso inopportune lotte tra partiti… Anche il cristiano si inserisce in questa lotta, ma lo fa con una sua logica – per dirla ancora con Bagnasco - «anticonformista», cioè che non si conforma alla logica del secolo e non si lascia omologare. Papa Giovanni Paolo II, nel 1987, a Danzica, individuava il programma di questa lotta nella frase di San Paolo nella Lettera ai Galati: «portate i pesi gli uni degli altri» (Gal 6,2). «Non ci può essere lotta più efficace della solidarietà – egli affermava -. Non ci può essere un programma di lotta migliore di quello della solidarietà. Altrimenti, i pesi diventano troppo pesanti. E la distribuzione di questi pesi aumenta in modo sproporzionato. Peggio ancora, quando si dice: “prima la lotta” (per esempio nel senso della lotta di classe), è molto facile che l’altro o gli altri restino sul “campo sociale” anzitutto come avversari. Come coloro che bisogna combattere. Distruggere. Non come coloro con cui bisogna cercare l’accordo, con i quali bisogna pensare insieme a come “portare i pesi”». Cari amici, cari amministratori, noi oggi vogliamo proporvi questa lotta che è realmente rivoluzionaria: vogliamo chiedervi che non ci siano avversari da sconfiggere ma fratelli con cui cercare un accordo in vista unicamente del bene comune; alleati di cui valorizzare la storia, per disegnare un volto alla nostra terra e alla nostra Italia. È un profilo che emerge dalla lotta tipica del Vangelo che, tra quelle «logiche profondamente contrastanti» che «si confrontano in ogni tempo e in ogni luogo» - come ha recentemente ricordato Benedetto XVI ai nuovi Cardinali –, chiede di far vincere il servizio sul dominio, l’altruismo sull’egoismo, il dono sul possesso, la gratuità sull’interesse.  Sì, noi vogliamo entrare assieme a voi in questa lotta, per aiutare la nostra gente a portare quei pesi che, sempre più, appaiono come insopportabili; per costruire insieme il bene della città dell’uomo che, in diversi modi, ci è affidata: nel rispetto delle singole competenze e dei diversi ambiti, come dicevo prima, ma senza dimenticare che il profilo di una società ha dei tratti irrinunciabili, dei valori non negoziabili se vuole essere un volto veramente umano, a misura dell’uomo e rispettoso dell’uomo. E questo profilo è esattamente il limite imposto dall’uomo, da ogni uomo: dalla difesa della sua vita e dal rispetto della sua dignità. «Non è indifferente vivere in una società che, ad esempio, non rispetta e non promuove il valore indisponibile della vita umana, specie nei momenti di maggiore fragilità, come l’inizio e la fine», ha sottolineato il cardinal Bagnasco, ricordando che «quando si dimentica il volto unico di ciascun fratello, si arriva a quella criminalità di strada che purtroppo sta infestando anche le nostre città». Per combattere questa criminalità, ma anche per disegnare quel volto umano, non dobbiamo dimenticare che «oltre la misericordia e solidarietà individuali, esistono anche una misericordia e una solidarietà dello Stato in quanto tale: vivere in un contesto sociale e legislativo ispirato al rispetto, alla compassione e alla partecipazione verso i più deboli è assai diverso dal vivere in un ambiente intriso di atteggiamenti che vanno in senso opposto». Sono certo che sarà possibile crescere insieme in questa misericordia e solidarietà. Sono certo che sarà possibile ricostruire la società sui tanti deboli che noi qui riconosciamo: i bambini e gli stranieri; i nascituri e i morenti; i disoccupati e i giovani scoraggiati… quella che sa ripartire dal debole non è una società di sconfitti ma una comunità veramente civile, che sa assumere l’uomo come criterio di giustizia e di pace, nella certezza che in ogni uomo è nascosto il senso della politica, la misura dell’economia, la vera ricchezza di quella storia che ci insegna come anche dalle ceneri della crisi, della devastazione e della guerra, un mondo nuovo può sempre rinascere, ma solo grazie all’uomo, alla sua intelligenza, alla sua unicità, alla sua infinità capacità di creare e di amare. Grazie di cuore e buon lavoro>>.   PROF. DIOTALLEVI: Il professor Luca Diotallevi, nellla sua relazione ha evidenziato che “in politica bisogna riuscire a dare testimonianza di pacatezza”. Ha detto che “oggi c’è una forte scissione tra politica e democrazia”. Ha messo in evidenza che “Sono necessarie oggi riforme che implicano combattimenti, proprio perché ci sono in campo interessi contro interessi”. Ha sottolineato che “La politica non ha nulla di tecnico ma è un fatto eminentemente etico”. Dunque, “Bisogna riflettere sulla legge elettorale”. Al contempo ha messo in luce che “Non basta il consenso, servono le regole”. Quanto a cattolici e politica ha fatto riferimento a De Gasperi: “Egli sposta i cattolici da spettatori a presidio di democrazia”. In altre parole “Mirava a fare dei cattolici dei pilastri della civiltà democratica”. Ha fatto notare che i cattolici hanno un dovere: “servire il bene comune”. A giudizio del cattedratico “La politica è condivisione dei valori”, e “senza i cattolici la politica nel nostro paese funziona male”. Oggi <<i cattolici hanno una grande responsabilità. Bisogna stare attenti a riscoprire il capitolo ecclesiologico entro cui pensare questa responsabilità”. MONSIGNOR PENNISI: <<Don Luigi Sturzo è uno dei personaggi più significativi del Novecento  ,il cui pensiero  è un punto di riferimento fondamentale per i cristiani impegnati in campo sociale e politico. La sua vocazione all’impegno sociale maturò nell’incontro con vari esponenti del movimento cattolico  fra i quali il prof. Giuseppe Toniolo,prossimo beato, che lo incoraggiò  a dedicarsi ai problemi sociali da un punto di vista pratico, impegnandosi nel nascente movimento democratico cristiano.  Al Toniolo, che affermò il primato dell’impegno sociale su quello politico, va riconosciuto il merito di aver favorito la maturazione di un movimento sociale cattolico costituito non da conventicole di intellettuali, ma da vasti settori popolari del mondo cattolico. Toniolo con la sua autorevolezza morale e scientifica sdoganò in una famosa conferenza del 1897 il termine di “democrazia cristiana”, ritenuto da  molti cattolici del tempo ambiguo e pericoloso. Per il professore pisano l’essenza permanente e universale della democrazia è costituita dal fine del bene comune, che si realizza in un ‘ordine sociale fondato sui doveri prima che sui diritti finalizzato a promuovere le classi inferiori. Don Luigi Sturzo formatosi alla scuola del  Toniolo fu uno degli apostoli della democrazia cristiana. Jacques Maritain  diede sul sacerdote siciliano il seguente giudizio lusinghiero: “Per i suoi scritti di così vasta proporzione come per la sua attività pratica Sturzo è stato la grande figura storica della Democrazia Cristiana. Egli aveva compreso che la Democrazia Cristiana non può adempiere il suo compito senza solide basi dottrinali. Da ciò la sua lunga meditazione che, nutrita da una ricca e profonda cultura illuminata dalla fede, ha prodotto frutti così abbondanti nel campo della filosofia politica e sociale, e stabilito, alla luce della sapienza cristiana, i princìpi che giustificano l'ideale di giustizia e di fraternità proprio della democrazia....”. <<Don Sturzo - continua il Maritain - ha reso testimonianza alla Democrazia Cristiana con l'azione e la sofferenza. Se egli ha superato tanti pericoli, è perché nella sua totale fedeltà alla Chiesa, non è mai caduto in alcun errore teologico; ed anche perché ha saputo esercitare ad un livello non comune la forza di soffrire e di sopportare (...)In lui l'attività temporale e la vita spirituale erano tanto più perfettamente distinte perché intimamente unite, nell'amore e nel servizio di Cristo>>[2] .               L’impegno sociale  e politico di don Sturzo  concepito come una esplicazione particolare della sua vocazione sacerdotale, è collegato alla solidarietà con gli esclusi dell'Italia dell'arretratezza, tagliati fuori dal processo di unificazione nazionale; al tentativo di dare responsabilità civile alle popolazioni meridionali, sacrificate in nome di una retorica patriottarda agli interessi della borghesia industriale del Nord e dei latifondisti del Sud, asservite alle manovre clientelari e trasformistiche dei governi appoggiati dalle cricche di ascari numerosi fra i politicanti meridionali, impantanati nella melma della mafia e della camorra. Sturzo si impegnò per la rivendicazione e la promozione dei diritti dei contadini e degli operai attraverso strutture associative e strumenti operativi adeguati, per la promozione dell'iniziativa privata, per la difesa della libertà e dell'autonomia degli enti intermedi, contro il centralismo burocratico dello Stato, che egli definì in termini morali e religiosi come una lotta contro il «panteismo di stato». Di fronte  alla cruda realtà  della corruzione nella vita pubblica e alla separazione fra morale e politica don Sturzo non si rifugia in sagrestia, non considera la politica tout court una “cosa sporca”, non ha paura di frequentare le piazze e le strade, i municipi e i ministeri,  ma si impegna, rischiando di persona, per dare speranza al popolo umiliato e offeso attraverso una profonda riforma morale fondata nell’educazione delle nuove generazioni ai principi cristiani della giustizia e dell'amore, che per lui non sono dei principi astratti ma dei valori concreti che i cristiani, trasformati dall'incontro con Cristo, hanno il compito di realizzare nella società. Don Luigi Sturzo pervenne all’elaborazione della sua idea di partito non da un disegno teorico , ma attraverso la partecipazione attiva alla vita amministrativa della sua città , dove introdusse al posto dei partiti personali e clientelari un partito fondato su uno specifico programma di ispirazione democratico-cristiana.  La lotta per le autonomie comunali è ritenuta da Sturzo scuola ideale per la formazione politica.  Un ruolo fondamentale nella maturazione del partito ipotizzato da Sturzo ebbe il suo costante riferimento ai problemi sociali del Meridione[3] e il suo impegno sociale nella società civile a fianco degli operai, dei contadini, degli artigiani, degli studenti, del piccolo ceto medio, che lo portò a riconoscere il carattere autonomo, sul piano culturale e politico di una vaste rete di organizzazioni cattoliche(cooperative, casse rurali, circoli, associazioni professionali,)sia rispetto ad altre organizzazioni operanti in campo politico sia rispetto all’organizzazione ecclesiastica in quanto tale.  Don Luigi Sturzo si impegnò per oltre un decennio alla formazione di un partito laico di ispirazione cristiana. L’aconfessionalità del partito dei cattolici democratici, teorizzata nel discorso di Caltagirone del 1905 e realizzata con la fondazione del Partito Popolare Italiano nel 1919, volle essere un tentativo non di trovare una zona intermedia tra la fede e la storia in cui si potesse mettere fra parentesi l’identità cristiana, ma di far lievitare dal basso alcuni valori fondamentalmente cristiani presenti nella realtà popolare, rivendicando una responsabilità diretta ai cattolici impegnati in politica e una autonomia nei confronti della gerarchia ecclesiastica, di cui tuttavia non si intendeva mettere in dubbio la missione "direttiva" di illuminare le coscienze alla luce del Vangelo.  Don Luigi Sturzo concretizzò il suo impegno politico nella fondazione, con l’appello “A tutti gli uomini liberi e forti”, del Partito  Popolare Italiano definito dello storico Federico Chabod  “il più importante evento politico nella storia italiana del XX secolo”[4].  Con don Luigi Sturzo l’idea di partito in campo cattolico  acquista cittadinanza. Egli esalta e valorizza lo strumento del partito come portatore di ideali morali e civili, come mezzo organizzativo delle forze sociali, come strumento di partecipazione del popolo alal vita pubblica, come importante elemento dialettico della vita amministrativa e politica.     Il nuovo partito ha una chiara e articolata piattaforma programmatica i cui principali punti saranno la difesa della famiglia, la libertà d’insegnamento, la legislazione sociale , la rappresentanza proporzionale e il voto femminile , il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo, la ricerca della pace in campo internazionale . La battaglia politica di Sturzo è stata caratterizzata da un impegno di riforma dello Stato che non voleva più accentrato, né solo rappresentativo di una limitata élite politica, ma popolare, articolato nelle autonomie locali e quindi decentrato.  Il compito di "informare" cristianamente la vita sociale e politica, per Sturzo , appartiene  soprattutto ai laici cristiani che ,attraverso il proprio impegno vissuto attuano gli insegnamenti sociali della Chiesa, elaborando una sintesi creativa fra fede e storia, che trova il suo fulcro nell'amore naturale vivificato dalla grazia divina. Don   Luigi Sturzo sentì come una sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che la carità cristiana non può ridursi solo alla beneficenza o all'assistenza ma deve essere l'anima della riforma della moderna società democratica nelle quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune.  La carità cristiana, per Sturzo non può essere dissociata dalla ricerca della giustizia la quale è determinata dall'amore verso prossimo, che a sua volta è generato dall'amore verso Dio. Da queste premesse Sturzo concepirà la politica come dovere morale e atto d'amore. L'amore considerato come il cemento che dà coesione e armonia alla vita sociale non sopprime per Sturzo la dialettica politica, ma la corregge, la eleva e la perfeziona.  L'amore di  Sturzo per i poveri non è un epidermico sentimento di filantropia, ne dettato da un superficiale sentimentalismo, ma è un amore consapevolmente cristiano che è fondato come scrive  lo stesso Sturzo: sulla "fratellanza comune per la divina paternità". Così Sturzo scrive in un articolo scritto nel 1942 che s’intitola: É la politica cosa sporca?:  «La politica non è una cosa sporca. Pio XI, parlando dieci anni fa a dei giovani belgi, la definì «un atto di carità del prossimo». Infatti lavorare al bene di un paese, o di una provincia, o di una città, o di un partito, o di una classe (secondo il rango politico che uno assume) è fare del bene al prossimo riunito in uno Stato, o città, o provincia, o classe, o partito….In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo: chi mai può vivere isolato? E i nostri rapporti con il prossimo sono di giustizia e di carità. La politica è carità [...]» . A proposito della militanza dei cattolici nella vita politica don Sturzo non elabora teorie astratte e valide  per tutti i tempi ed in tutti i luoghi, ma storicizza il problema dell'appartenenza dei cristiani nei vari partiti in riferimento alle varie e mutevoli situazioni concrete. Egli constata che nei regimi costituzionali si sono percorse tre vie: -o quella di costituire un partito di ispirazione cristiana separato dall'Azione Cattolica e indipendente dall'episcopato (come in Belgio, in Olanda ed in Italia); -o quello di entrare nei partiti legali continuando ad avere gruppi di  animazione cristiana all'interno dei vari partiti e (come per esempio in Francia); -o quello di aderire indifferentemente ai vari schieramenti politici caratterizzati non su basi ideologiche ma su impostazioni pragmatiche( come negli Stati Uniti ed in Inghilterra).         Sturzo  con molto realismo vede  i  rischi che i cattolici possono correre nelle varie circostanze storiche.  A proposito dei cattolici che si inseriscono in partiti cosiddetti "laici" egli scrive :"La mia esperienza mi ha sempre provato che i cattolici che entrano in partiti strettamente politici, non solo perdono il senso dell'apostolato sociale che si trova nei partiti di ispirazione cristiana, ma si attaccano troppo agli aspetti materiali e utilitari della politica […] questi cattolici diventano spesso una minoranza isolata e senza influenza in mezzo ad una maggioranza troppo materialista e realista".   Don Luigi Sturzo vede però anche i rischi che possono correre i cattolici militanti nei partiti di ispirazione cristiana:" I partiti di ispirazione cristiana, come gli altri, anche se sono costituiti con un nobile programma e con la volontà di servire il loro paese, corrono il rischio di diventare una camarilla e di ispirarsi a poco a poco ad uno spirito partigiano né più né meno di qualunque altro gruppo umano". Egli aggiunge:" Bisogna uscirne appena ci si accorge di esserne prigionieri, bisogna che i cattolici mettano gli interessi della nazione al di sopra di quelli del partito" Il contesto attuale, anche in Italia, è molto diverso da quello descritto da  Sturzo. In molti tende a prevalere sull'impegno politico come  luogo di "apostolato sociale" una impostazione pragmatica ed utilitaristica  che spesso rischia di censurare i valori fondamentali  derivanti  dalla presenza dell'esperienza cristiana in campo culturale, sociale e civile o in uno sterile moralismo, che considerando al politica "cosa sporca" si rifugia in una malintesa "scelta religiosa" o al massimo in un impegno sociale di corto respiro in quanto staccato da un progetto politico e culturale di alto profilo. Il rischio è  che i cattolici si disperano in una frammentazione  che travolge assieme all'unità partitica, anche quella culturale ed ecclesiale, col risultato di far sparire i cattolici come soggetto sociale. E' impossibile capire profondamente Sturzo se si prescinde dalla  spiritualità sottesa a tutta la sua opera e dal suo impegno pastorale di prete. Di questa sua profonda spiritualità rimanevano colpiti quelli che lo accostavano. Significativa è la testimonianza di anticlericale come Gaetano Salvemini: "Don Sturzo crede nell'esistenza di Dio: un Dio- badiamo bene- che non solo esiste chi sa mai dove, ma e' sempre presente a quel che don Sturzo fa, e don Sturzo gliene deve rendere conto strettissimo, immediatamente, e non nell'ora della morte...Con quell'uomo buono (naturalmente era anche intelligente)non si scherzava .(...).Discuteva e lasciava discutere di tutto, con una libertà' di spirito, che raramente avevo trovato nei cosiddetti liberi pensatori; ma quando si arrivava alla zona riservata, cadeva la cortina di ferro ,don Sturzo non discuteva più' .                   Sturzo afferma l'assolutezza dei valori morali ma insiste anche sulla impoliticità della immoralità politica. Per Sturzo non esiste il dilemma fra l'utile e il bene perché quando l'utile è veramente l'utile di tutti esso coincide con il bene di tutti cioè con il bene comune. Per don Sturzo la moralità presuppone la maturazione di una coscienza  che deve essere educata , illuminata , formata dalla riflessione razionale in un clima di libertà per discernere con convinzione e con sicurezza il bene dal male. I principali punti cardini dell'antropologia sociale sturziana sono il primato della persona sulla società, della società sullo Stato e della morale sulla politica, la centralità della famiglia, la difesa della proprietà con la sua funzione sociale come esigenza di libertà, l'importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo , la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunità internazionale.           La moralizzazione della vita pubblica è legata per Sturzo  soprattutto ad una concezione religiosa della vita da cui deriva il senso della responsabilità morale  e della solidarietà sociale. “Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diventa mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la  scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo ed al marxismo; l’arte decade nel meretricio”.[5]   Una impostazione corretta dell'impegno politico esige non la conflittualità ma l'armonia fra  politica e morale, che garantisce una società ordinata e una democrazia autentica.                     Don Luigi Sturzo in appendice all'opera "Coscienza  e politica" afferma che la politica è un arte che riescono ad esercitare solo poco artisti , mentre altri si accontentano di esserne artigiani e molti si riducono ad essere mestieranti della politica. Egli  da politico vero anche se scomodo  non manca di dare anche dei suggerimenti di natura pratica a chi vuole apprenderne l'arte ed evitarne il mestiere. Il perseguimento del bene pubblico non può essere separato dalle virtù individuali.             Tra le virtù dei politici egli cita la franchezza, la sincerità, la fermezza nel sapere dire anche i no,  l'umiltà da cui scaturisce il senso del limite, il non attaccamento al denaro e alla fama, la competenza, la progettualità politica , la capacità di programmazione nel discernere i tempi politici, quelli parlamentari, quelli burocratici e quelli tecnici.                       Don Luigi Sturzo non si fermò a denuncie generiche e astratte, ma intervenne spesso e puntualmente in alcuni nodi cruciali della storia del nostro paese con analisi spietate, che non mancano di attualità. L’impostazione critica di Sturzo contro la presenza della criminalità mafiosa e delle sue connivenze con i mondi dell’economia, dell’amministrazione e della politica emerge, in un articolo pubblicato il 21 gennaio 1900 sul  periodico da lui diretto “La Croce di Costantino” intitolato  “Mafia”, in occasione del caso Notarbartolo. Scrive:” chi ha seguito con attenzione il processo, vedrà come quest’ultimo è un effetto della mafia, che stringe nei suoi tentacoli giustizia, polizia, amministrazione, politica; di quella mafia che  oggi serve per domani essere servita, protegge per essere protetta, ha i piedi in Sicilia ma afferra anche a Roma, penetra nei gabinetti ministeriali, nei corridoi di Montecitorio, viola segreti, sottrae documenti, costringe uomini, creduti fior d’onestà, ad atti disonoranti e violenti Oramai il dubbio, la diffidenza, la tristezza, l’abbandono invade l’animo dei buoni, e si conclude per disperare. Finchè vi era una magistratura da potervisi fidare, incorrotta, cosciente dei propri doveri, superiore a qualsiasi influenza politica, potevasi sperare,poco sì ma  qualche cosa di buono. Ora nessuna speranza brilla nel cuore degli italiani”. E aggiunge:” gli alti papaveri commettono all’ombra concussioni, furti omicidi; e quando si è arrivati con l’acqua al collo, si tenta il salvataggio. I giornali son pieni di fatterelli e fattacci della mafia siciliana[…]; son lunghe narrazioni di imbrogli e sopraffazioni durati da un trentennio e più; con l’appoggio di tutti i governi e  i ministeri. E’ la rivelazione spaventevole dell’inquinamento morale dell’Italia, sono le piaghe cancrenose della nostra patria, la immoralità trionfante nel governo”. Ecco cosa scrisse nel 1958 quel vecchio di ottantasette anni a proposito della moralizzazione della vita pubblica, senza farsi eccessive illusioni ma neanche senza un pessimismo disperato: “Una parola “moralizzare la vita pubblica”! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri, non oggi, non da noi, non dai nostri vicini, non dai paesi lontani. Eppure è questa l'aspirazione popolare : giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello Stato di diritto se non quella di uno Stato nella quale la legge prende il posto dell'arbitrio; l’osservanza della legge sopprime l'abuso, la malversazione e la sopraffazione non restano impunite? Bene facciamo come si fa nelle case; in primavera ed in autunno pulizia generale... E' vero ci sporchiamo le mani, ma c’è l'acqua e il sapone a ripulirle più volte... Noi vogliamo che lo Stato come ente responsabile della pubblica amministrazione, pur facendo valere le proprie benemerenze, riveda le proprie colpe e si emendi... Lo Stato non immunizza il male né lo tramuta in bene; fa subire ai cittadini gli effetti cattivi delle azioni disoneste dei propri amministratori, governanti e funzionari, mentre produce benefici effetti con la saggia politica e la onesta amministrazione.” Fra le altre denunzie circostanziate c’è questa: “Più grave (dell'assenteismo degli impiegati soprattutto in certi carrozzoni inutili) è l’andazzo di molti uffici centrali e periferici, statali e locali, per il disbrigo degli affari privati. Se nella mente dei cittadini è penetrata l'idea che per avere disbrigato un affare occorre la bustarella, o la percentuale per il premuroso intermediario, si deve concludere che le storielle circolanti di bocca in bocca non siano tutte inventate... Che ci stanno a fare nei corridoi e nelle antisale dei Ministeri e per le scale stesse certe persone che oramai gli uscieri conoscono? Perché non tenere sgombri gli ambulacri? Anche nelle antisale delle banche si vedono certi figuri ben noti ai funzionari... Per quando sto segnalando non vorrei dare l'impressione che tutta l'amministrazione statale sia corrotta; farei torto al personale tradizionalmente corretto e zelante; ma il sistema dei controllati -controllori, da me denunziato dieci anni fa, vige ed è generalizzato... le promozioni a salti mortali... demoralizzano coloro che contano sulla regolarità della carriera e sulla disciplina del personale. Per giunta la differenza di stipendio fra il personale dei dicasteri statali e parastatali è tale da ripercuotersi sul morale di tutta la classe impiegatizia e sulla stessa pubblica opinione. Ciò spinge i più audaci e i più fortunati a darsi alla politica... L'anello di congiunzione della partitocrazia con la burocrazia politicante e con il funzionarismo degli enti statali e parastatali, che amministra miliardi senza rischio e senza corrispondente responsabilità, è un incentivo allo sperpero, al favoritismo, alla inosservanza delle leggi, e rende difficile qualsiasi retta amministrazione governativa.." E concludeva: “Pulizia! Pulizia morale, politica e amministrativa, - solo così potranno i partiti presentarsi agli elettori in modo degno per ottenere i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e a gruppi; non mai con promesse personali di posti e promozioni; ma solo in nome degli interessi della comunità nazionale, del popolo italiano, della Patria infine, - perché la moralizzazione della vita pubblica è il miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra” . (  gennaio 1958) . Conclusione. L'amore considerato come il cemento che dà coesione e armonia alla vita sociale sarà il motivo ispiratore dell'attività e del pensiero di Luigi Sturzo. Con la sua riflessione sui rapporti fra amore e giustizia in rapporto all'impegno socio - politico egli mostra una concezione profondamente morale della vita politica e sociale ispirata ai valori cristiani ed anticipa in questo campo  alcune  affermazioni del magistero ecclesiastico recente. In questa prospettiva si comprende come don Luigi Sturzo, che  seppe infondere non solo nei siciliani ma nei cattolici italiani il senso del diritto - dovere della partecipazione alla vita politica e sociale alla luce dell’insegnamento della Chiesa sia stato definito da Giovanni Paolo II “infaticabile promotore del messaggio sociale cristiano ed appassionato difensore delle libertà civili”. Don Luigi Sturzo oggi non ci offre delle ricette pronte all’uso, ma rimanda  ad un impegno creativo e responsabile dei cristiani per leggere i “segni dei tempi” alla luce del Vangelo, per realizzare una prassi politica animata dalla fede, illuminata dalla speranza, testimoniata con l’amore cristiano, in spirito di servizio e di dialogo con le donne e gli uomini del nostro tempo, per realizzare il bene comune  che è il bene di tutti e di ciascuno>>.   [2] J. MARITAIN, Hommage a Don Sturzo, in F. DELLA ROCCA, Itinerari sturziani, Napoli 1959,9-10. [3] Sull'impegno meridionalista di Sturzo  cfr. L. STURZO, Mezzogiorno e classe dirigente: scritti sulla questione meridionale dalle prime battaglie politiche siciliane al ritorno dall'esilio, a cura di G. DE ROSA, Ed Storia e letteratura, Roma 1986; M. PENNISI, Don Luigi Sturzo e il problema Nord-Sud in La Chiesa nel tempo 3(1987)103-118.   [4] Cfr. G. DE ROSA, Sturzo ,Utet, Torino,1977, 245-246. [5] L. STURZO,  Messaggio al Circolo di Cultura “Luigi Sturzo”, in «Il Popolo» del 16 dicembre 1956, ora in Id., Coscienza e politica, cit., 27.    

di Redazione | 31/03/2012

Pubblicità

vendesi tavolo da disegno Spazio pubblicitario disponibile


Testata Giornalistica - Registrazione Tribunale di Rossano N° 01/08 del 10-04-2008 - Nessun contenuto può essere riprodotto senza l'autorizzazione dell'editore.

Copyright © 2008 - 2024 Ionio Notizie. Tutti i diritti riservati - Via Nazionale, Mirto Crosia (CS) - P.IVA: 02768320786 - Realizzato da CV Solutions

Ogni forma di collaborazione con questo quotidiano on line è da considerarsi del tutto gratuita e non retribuita - E-mail: direttore@ionionotizie.it